Massimiliano Zanin

The Cage - Nella Gabbia

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Se dovessimo riflettere sulle possibilità e modalità dei film italiani di aprirsi un ulteriore varco sul fronte del cinema di genere, inteso anche come gender, ebbene The Cage – Nella gabbia di Massimiliano Zanin ha molto da insegnare e suggerire. Primo perché appunto coniuga in una maniera tutta fisica il genere cinematografico e quello femminile; secondo perché coglie nel discorso sportivo applicato a quello audiovisivo un nesso strutturale.

Partiamo da qui per comprendere le potenzialità di The Cage, poiché della prestazione sportiva, in chiave sia fisica che agonistica, l’esperienza filmica coglie da sempre un aspetto essenziale. Lo spettatore che osserva, immobile e comodo in poltrona lo spettacolo delle immagini in movimento scandite dal montaggio serrato e da una visione estatica ed estetizzante, si identifica non soltanto con la rappresentazione nella sua totalità, divenendo così un soggetto onnisciente e in grado di dominare, ma con la prestazione ginnica violenta e liberatoria che si articola sullo schermo.

La motilità assente di chi guarda il film, dove molto appropriata è l’espressione “concerto di pugni” usata dal possessivo fidanzato (Brando Pacitto, molto lontano dal paradigma Muccino), trova un corrispettivo così inversamente proporzionale nell’attività del corpo della giovane protagonista Giulia (Aurora Giovinazzo), la quale appunto soffre, si sforza ed eccelle in itinere sul piano performativo nella disciplina sportiva come ex stella emergente delle MMA (acronimo di Mixed Martial Arts); quella cioè che meglio riassume l’aspetto ambivalente di sessualità e violenza implicita.

Nella storia del cinema l’argomento sport in generale, ergo la vicenda specifica del campione sportivo, possibilmente in erba, ha assunto una valenza sostanziale, declinando specialmente quelle pratiche in cui è stato possibile restituire la dinamica del campo e controcampo o dell’azione coerente con il principio dinamico del segno filmico. Il movimento, nell’accezione propriamente sportiva, è perciò l’elemento compensativo della condizione dello spettatore che osserva dalla sua postazione privilegiata di essere senziente e passivo; cosicché mediante questa mirata fruizione è dato sublimare l’assoggettamento che si avverte nei confronti dello schermo prepotente.

Il valore aggiunto della regia di Zanin, che riporta al punto numero uno di cui sopra The Cage, ovvero al “mixed” di corpi femminili in lotta che sin dalla scena dei titoli di testa assume una (ambi)valenza fortemente erotica, sta nel tenere assieme e rendere inseparabili le accezioni di genere, inteso sia come mappa filmica di riferimento (donde il richiamo voluto a Million Dollar Baby di Clint Eastwood), sia come antagonismo del soggetto femminile. E non è un caso che l’autore di The Cage, qui al suo esordio nel lungometraggio di finzione abbia dedicato a Tinto Brass un documentario di autentico approfondimento e riscatto autoriale come Istintobrass. Se dunque la “gabbia” del titolo è più quella della relazione eterosessuale tossica anziché lo sport in sé che fa scorrere il sangue e infligge gonfiori e ferite, è comprensibile anche il ruolo inedito di Fabrizio Ferracane che in veste di sacerdote parla con effetto inquietante di comunità, necessità veritiera della menzogna e senso di colpa. Poiché ogni risvolto esplicito o implicito in The Cage appare fisiologico, in tutti i sensi, compresa la religione e la dedizione agli altri, proprio nell’accezione del “concerto di pugni” di cui sopra.


 

The Cage - Nella Gabbia
Italia, 2023, 104'
Titolo originale:
id.
Regia:
Massimiliano Zanin
Sceneggiatura:
Vittorio Alonzo, Claudia De Angelis, Andrea Sperandio, Massimiliano Zanin
Fotografia:
Gianni Chiarini
Montaggio:
Lorenzo Campera
Musica:
Francesco Motta
Cast:
Aurora Giovinazzo, Fabrizio Ferracane, Patrizio Oliva, Brando Pacitto, Desirée Popper, Alessio Sakara, Valeria Solarino
Produzione:
Fairway Film, Rai CInema, Rodeo Drive, Wave Cinema
Distribuzione:
Rodeo Drive

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