Lila Avilés

Tótem - Il mio sole

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Tótem – Il mio sole, opera seconda della regista messicana Lila Avilés, presentato lo scorso anno a Berlino, dove ha vinto il Premio della Giuria Ecumenica, e poi in numerosi festival internazionali, inizia in un bagno pubblico. Non si capisce subito che si tratta di una toilette, perché la macchina da presa si focalizza sui volti dei personaggi: Sol, una bambina di sette/ otto anni, che non riesce a fare la pipì perché troppo intenta a ridere e cantare, e sua madre Lucía, che canta e parla e scherza con lei, in un’atmosfera festosa che culmina in un mascheramento, naso e parrucca carnevaleschi che, si intuisce, serviranno per un evento. La donna sta accompagnando la figlia al luogo di quest’evento ma prima di arrivarci c’è un altro passaggio, o meglio un sottopassaggio, sotto il quale, seguendo un rituale consolidato, madre e figlia trattengono il respiro e, quando lo riprendono, esprimono un desiderio. Desiderio che per Sol è questo: che suo padre non muoia.

Queste poche indicazioni, quest’incipit allegro e scanzonato ma oscurato da una nota di mestizia, bastano a rendere quello che è, che sarà il film: un andare dalla gioia al dolore, dal trattenere al respirare, dall’amore (materno e qui, davvero, totale e incondizionato) alla tristezza e a quello che sarà il dolore, dolore che si attraversa e che si supera insieme, perché ciò che è importante e che abbiamo amato rimane sempre in qualche modo con noi, com’è detto alla fine del racconto. E c’è il bagno: i bisogni primari, il corpo, la concretezza del nostro essere qui, su questa terra, in questa condizione esistenziale. Insieme alle piante, insieme agli animali, insieme ad altre persone, parenti e amici, e insieme alle anime di chi non c’è più, in un senso di comunione con il tutto che si lega alla cultura mesoamericana, da cui deriva il titolo (in originale, giustamente, solo Tótem), ma che si può naturalmente ampliare.

    

Il film procede quindi con l’arrivo di Sol alla sua destinazione, la casa del nonno e delle zie (la madre arriverà più tardi, ora deve lavorare), in cui la cuginetta la accoglie in malo modo, tirandole addosso un frutto, perché non le piace la parrucca colorata come a lei non piace il naso da clown, che le toglie il respiro. La piccola viene rimproverata da sua madre ma che importa, alla fine? Sono questi i problemi? E poi è giusto, che i bambini possano esprimersi. Bambini e animali (nel film ce ne sono moltissimi, dai cani al pappagallo, dal pesce rosso che viene poi regalato a Sol alla mantide religiosa che cammina su una grande foglia, dallo scorpione del finale alle lumache che la bambina attacca ai quadri), bambini e cuginetti (ne arrivano poi anche due di più grandi), bambini e nonni (la nonna è morta da poco ma c’è il nonno, uno psicologo che ha lo studio in una stanza della casa e che parla attraverso il laringofono, rude e imbronciato). Una casa grande, fatta di spazi che vengono esplorati mano a mano dalla macchina da presa in movimento, in frequenti piani-sequenza, e che mantengono pertanto un senso di mistero, come se non si sapesse bene cosa racchiudono e soprattutto se sono tutti lì o se c’è qualcos’altro oltre (sicuramente, sopra, c’è un tetto piatto su cui Sol si rifugia nel finale, quasi a difendersi da quello che accade sotto, inveendo contro il drone che i parenti hanno attivato per vederla), e un giardino che, alla sera, sarà lo spazio della festa. 

La festa. La festa di compleanno di Tona, diminutivo di Tonathiu (com’è chiamato il dio-sole nella cultura azteca), il padre di Sol. Il padre malato di Sol, malato terminale di cancro. E qui tutto torna: il desiderio espresso dalla bambina, i preparativi che fervono, il mistero e la tristezza, la sciamana che viene chiamata a liberare l’ambiente dagli spiriti maligni. Le espressioni delle zie, i loro discorsi, la loro reticenza ma anche il loro parlare, quando arriva l’altro fratello, delle cure possibili e dei relativi soldi da spendere; ma anche dell’impossibilità, in realtà, che le cure possano servire, e della necessità, invece, di far vivere a Tona al meglio il tempo che gli rimane e in particolare quella festa, la sua (ultima) festa di compleanno, alla quale accorreranno anche gli amici e un insegnante. Nella casa c’è anche lui, in una stanza del piano superiore, buia per necessità, con un’infermiera che lo segue e lo accudisce. Sol chiede insistentemente di vederlo ma questo potrà avvenire solo in serata, quando lui troverà la forza di scendere (davvero la forza residua: raramente al cinema si è vista la malattia terminale rappresentata con questo realismo, come del resto la solarità e la gioia che i personaggi, comunque, esprimono) e di farsi festeggiare, con brindisi, discorsi, un affetto traboccante (i convitati indossano una maschera che riproduce il suo volto), una lanterna cinese che fa fatica a partire e una torta piena di candele, la torta che Nuri ha fatto e ha decorato, meravigliosamente.

Su queste candeline e sul volto di Sol che finalmente è scesa dal tetto, sta accanto a suo papà (che poi la porterà in camera e le mostrerà il quadro che ha dipinto per lei, con i suoi animali preferiti immersi in una natura rigogliosa) e ha un’espressione diversa, quasi adulta, in un piano lunghissimo corredato da un suono disturbante e magnetico, si chiude questo film magnifico, pieno di vita e di amore, in cui i morti stanno con i vivi e il dolore fa profondamente parte della vita, si trasforma e innanzitutto si vive, con le persone care. Tutto torna e tutto si trasforma, se si sta dentro alla vita. E in un giorno che si svolge in uno spazio unico, chiuso ma anche aperto, buio ma anche luminoso, può succedere di tutto.

La conclusione del film è però un’altra: due inquadrature giustapposte, una con uno scorpione in una fessura l’altra con la stanza di Tona deserta, abbandonata, con le pareti spoglie, anche quella dove c’era il quadro destinato a Sol. E poi i titoli di coda con le chiacchiere delle persone, quel parlato molto quotidiano che ha connotato tutta l’opera, che dal realismo più autentico passa al simbolico con quest’animale immagine di morte ma anche di rinascita, di trasformazione e di ciclicità. E con il fuoco che brucia, sempre, qui.


          

           

Tótem - Il mio sole
Messico, Danimarca, Francia, 2023, 95'
Titolo originale:
Tótem
Regia:
Lila Avilés
Sceneggiatura:
Lila Avilés
Fotografia:
Diego Tenorio
Montaggio:
Omar Guzmán
Musica:
Thomas Becka
Cast:
Naíma Sentíes, Montserrat Marañon, Marisol Gasé, Saori Gurza, Mateo Garcia, Teresa Sánchez, Iazua Larios, Alberto Amador, Juan Francisco Maldonado
Produzione:
Limerencia Films, Laterna, Paloma Productions, Alpha Violet Production
Distribuzione:
Officine Ubu

Sol, sette anni, viene accompagnata dalla mamma nella grande casa del nonno, per aiutare le zie e i cugini a organizzare la festa di compleanno a sorpresa per l’amato papà, un giovane pittore malato. Un’atmosfera strana e caotica prende il sopravvento e l’arrivo dei numerosi amici e parenti mette a dura prova i legami che tengono unita la famiglia. Con il passare delle ore, nella piccola Sol cresce l’impaziente attesa per la festa ma capirà a poco a poco che il suo mondo sta per cambiare per sempre.

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