Nicolas Philibert

Vedere e ascoltare la radio al cinema

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Si può raccontare con le immagini la vita di una radio? Si può "sentire" un film con gli occhi?

A domande così inconsuete viene da rispondere di sì dopo aver visto La maison de la radio, il bel documentario di Nicolas Philibert presentato all’ultimo festival di Berlino e uscito in qualche sala italiana grazie alla collaborazione tra Officine Ubu (gli stessi che hanno distribuito il Leone d’oro veneziano Sacro Gra...) e IWonder Pictures, progetto di distribuzione indipendente del Biografilm Festival di Bologna, specializzato in documentari di qualità.

Nato a Nancy nel 1951, Philibert ha assunto notorietà internazionale dopo il successo di Essere e avere (2002), delicato racconto di un anno scolastico in una classe di un villaggio agricolo della Francia centrale, ma era già conosciuto e apprezzato, anche se in circuiti più ristretti, per lavori come La Ville Louvre (1990), Le pays des sourds (1992) o La moindre des choses (1996).

Questa volta Philibert ha deciso di mostrarci quante cose possano accadere nell’arco di ventiquattro ore al 116 avenue du Président Kennedy, dentro l’edificio sulle rive della Senna che ospita dal 1975 Radio France, la radio pubblica francese.

La macchina da presa, silenziosa e discreta, entra negli uffici dove si organizzano le news, percorre i lunghi corridoi, assiste alle riunioni di redazione, si accomoda negli studi dove si registra un concerto dell’orchestra filarmomica o una rubrica culturale (a un certo punto compare, intervistato, il «professeur Umberto Ecó»).

Ci sono soltanto un paio di (felici) escursioni all'esterno, a bordo della moto di due cronisti sportivi che seguono il Tour de France, e dentro un bosco fitto e umido, in compagnia di un fonico intento a registrare i rumori della natura da riprodurre in studio.

Scampoli di vita, voci, facce, suoni, nulla sembra essere tanto ordinario e allo stesso tempo così essenziale, e necessario, nel cinema di Philibert: il telefono che squilla, le dita che battono sulle tastiere di un computer, le discussioni tra colleghi d’ufficio, compreso l’attimo imprevisto e irrepetibile nel quale le maestranze – speaker, musicisti, impiegati, centralinisti – si fermano di colpo. Anche loro, al pari dello spettatore, stanno con l’orecchio teso. In sottofondo il rumore di un trapano, Qualche momento di attesa, poi torna il silenzio, tutti si rimettono al lavoro. E anche il cinema torna "on air".

Raffinato documentario d’osservazione, efficace anche perché privo di qualsiasi orpello dimostrativo, La maison de la radio è un ottimo esempio di «cinema del reale», capace di raccontarci un pezzo di mondo con studiata immediatezza e amore per la verità.



 

La Maison de la Radio
Francia/Giappone, 2013, 103'
Titolo originale:
id.
Regia:
Nicolas Philibert
Sceneggiatura:
Nicolas Philibert
Fotografia:
Katell Djian
Montaggio:
Nicolas Philibert
Cast:
Jean-François Achilli, Evelyne Adam, Jean-Claude Ameisen
Produzione:
Les films d'ici, Longride
Distribuzione:
Officine Ubu

Come si racconta una radio? È la sfida stilistica che Nicolas Philibert raccoglie in questo originale documentario. Come si rende per immagini un universo che vive di suoni e di parole? Con umiltà, è la risposta: mettendosi in ascolto. Philibert lo fa “abitando” per molti mesi la sede di Radio France: ne percorre i corridoi, ne spia gli animatori e gli ospiti maneggiando con sensibilità una camera mobile ma mai invasiva. Dal più anonimo dei presentatori a star internazionali come Umberto Eco, tutti coloro che danno vita all’esperienza di Radio France diventano così protagonisti, parte di un affresco collettivo ricco di sorprese, professionalità, umanità e molta ironia. 

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