CINEFORUM / 560

Author! Author!

Che cosa significa pensare un film a partire da un romanzo, in particolare da un romanzo di successo. Quali sono le domande che è necessario rivolgere al testo scritto e a se stessi, da quando comincia a prendere forma l’idea di un confronto da cui arrivare a produrre un soggetto/oggetto estetico necessariamente nuovo per la radicale differenza delle modalità espressive rispetto all’“originale”? In che termini giocarsi quel confronto: braccio di ferro o nascondino? antagonismo o reciproca seduzione? aperto tradimento o rivendicazione di fedeltà? Certamente non può esistere una soluzione valida per tutte le occasioni ed è proprio questo il bello della questione. O il brutto. I fallimenti più clamorosi, quelli che producono delusione, indifferenza o irrisione hanno tutti in comune l’assenza di una vera, problematica consapevolezza, da parte del soggetto che si assume la responsabilità dell’operazione, dei motivi che lo hanno spinto a misurarvisi. Almeno di quelli essenziali, in grado di illuminargli adeguatamente il cammino: ché poi quelli oscuri, balenanti di inconsapevolezza, si manifesteranno di conseguenza come tesori nascosti nel disegno complessivo. Qui sta il dunque. Non in altro: certamente non nella qualità dell’opera letteraria di partenza. Ne abbiamo l’ennesima, macroscopica conferma nella casuale concomitanza d’uscita in sala di Fai bei sogni e di Pastorale americana. Ci sono circostanze nelle quali il vocabolo “autore” riacquista di botto tutta la sua sostanza e si ricolloca al centro del discorso, alla faccia di tutti gli abusi e le approssimazioni di cui finora possa essere stato vittima. E ho detto tutto, verrebbe da chiosare, alla maniera di Peppino, rimandando il lettore alle pagine di questo numero.

La nozione di autore implica necessariamente la qualifica di “maledetto”? Certamente no, anche se una solida tradizione romantica e ancor più decadente lo ha insinuato, a volte non senza ragione. Ma ci sono opere, anche di autori che il “maledettismo” se lo sarebbero divorato allegramente come un supplì, alle quali applicare una tale qualifica non è poi così ingiustificato. Come il film a cui abbiamo dedicato il book di questo numero, al quale è perfino difficile attribuire un titolo, dal momento che si è metamorfizzato nell’arco di quattro anni in tre versioni successive; al punto che la sua “resurrezione” – tanto più emozionante quanto più insperata – non corrisponde all’edizione originale ma alla terza, modificata dall’autore medesimo sulla base della prima, mutilata e sfregiata fin nel titolo da un produttore tanto importante quanto (in questo caso) cieco. Dunque, L’uomo dei 5 palloni o Break-Up, di Marco Ferreri? Il secondo titolo, come si legge nell’articolo che racconta la storia delle tre versioni, era un titolo-esca, uno specchietto per le allodole, però paradossalmente è a tutti gli effetti quello che, formalmente, gli è rimasto; ma è il primo a essere materia di leggenda. Ed è un miracolo, comunque, che questo film possa oggi essere restituito a quanti lo aspettavano.