CINEFORUM / 563

La luce sugli oceani

Dopo la pletora di critiche negative ricevute durante la Mostra del Cinema di Venezia, è difficile esprimere un parere libero da pregiudizi su La luce sugli oceani. Credo che la collocazione "in concorso" di una rassegna così importante non lo abbia aiutato. La luce sugli oceani non è film da festival, è puro intrattenimento, narrazione romantica, melodramma: un mélo. Cianfrance, maestro del genere fin dai suoi precedenti Blue Valentine e Come un tuono, lo rivisita esaltandone le caratteristiche più emblematiche e si delinea come erede di Douglas Sirk. Tratto del romanzo di M.L. Steldman, il film racconta la storia di Tom (Fassbender), reduce della Prima guerra mondiale, che decide di andare su un'isola deserta come guardiano del faro. Prima di partire conosce Isabel (Vikander), una deliziosa e sfacciata ragazza che sgretola la sua corazza e lo fa capitolare a nozze. La loro felicità non è coronata dall'arrivo del figlio tanto desiderato e, dopo il secondo aborto spontaneo quasi al termine della gravidanza, Tom e Isabel soccorrono una barca alla deriva con il cadavere di un uomo e una neonata che alleveranno come se fosse figlia loro. Quando però Tom scopre che la bambina ha una madre che continua a piangerla, un profondo tormento lo spingerà a fare emergere la verità contro la volontà della moglie, esponendosi al biasimo della piccola comunità e alle pene previste dalla legge.

L'isola dove vivono i due protagonisti di La luce sugli oceani si chiama Janus, come la divinità bifronte che guarda in due direzioni, combattuta da due modi di vedere le cose. In questa spiegazione che Tom dà alla moglie al suo arrivo sull'isola, è già contenuto il successivo sviluppo dell'intreccio. Il film infatti è costruito su contrapposizioni laceranti: due madri, una mancata e l'altra mancante della figlia; due uomini, uno in fuga dai suoi demoni interiori, l'altro costretto a fuggire per la folla inferocita che lo odia in quanto tedesco; due condizioni sociali, la famiglia semplice e di poche pretese che abita su Janus e la ricca vedova figlia del principale finanziatore del faro. Una dicotomia che si ricompone solo nella figlioletta contesa che, chiamata Lucy da una madre e Grace dall'altra, accetta infine di riconoscersi nel compromesso del nome Lucy-Grace.

Alla tormentata vicenda dei due protagonisti, fa poi da sfondo una natura incontaminata di prepotente bellezza, onnipresente nel rumore del mare e del vento non sovrastati neppure dall'imponente musica di commento. Come scriveva Franco La Polla nel suo magnifico testo Sogno e realtà nel cinema di Hollywood (Editrice Il Castoro, Milano 2004), spesso il melodramma è contraddistinto da un «uso romantico della componente naturale secondo i migliori dettami della tradizione ottocentesca: vale a dire, adeguamento o opposizione fra natura e stati d'animo». A tal proposito, si pensi a una delle scene più intense del film quando, durante una furiosa tempesta, Isabel abortisce e cerca disperatamente di raggiungere suo marito nel faro che, ignaro della gravità del suo dramma, la ritrova svenuta davanti alla porta soltanto la mattina successiva. Cianfrance che, fin dagli esordi, cita tra i suoi registi preferiti Powell e Pressburger, Victor Fleming, ma soprattutto Douglas Sirk, usa il registro della retorica effusiva con grande margine di ridondanza melodrammatica nel raccontare l'impossibilità di felicità per il nucleo base della famiglia.

Al regista va anche riconosciuto un indubbio talento nel dirigere gli attori e nello scegliere coppie dalla palpabile alchimia: Fassbender e la Vikander si sono innamorati sul set e da allora fanno coppia (come, prima di loro, Ryan Gosling ed Eva Mendes in Come un tuono).