CINEFORUM / 565

Noi volevamo cambiare il mondo

«Oh ragazza, dalle guance di pesca / Oh ragazza, dalle guance di aurora, / Io spero che narrar ti riesca / La mia vita all'età che tu hai ora», canta Milva alla fine di Libere, declinando al femminile Oltre il ponte, scritta da Italo Calvino e Sergio Liberovici nel 1959. Nel testo di Calvino un ex partigiano racconta alla giovane figlia la sua Resistenza, cercando di scalfire quel naturale disinteresse e quella fisiologica distanza che si frappone tra generazioni che hanno vissuto momenti lontani della Storia. È un compito arduo quello di raccogliere una testimonianza, soprattutto se questa è il lato spesso trascurato di un movimento come la lotta partigiana ancora oggi al centro di dibattito e sfiorato da posizioni contrastanti che vanno dalla smitizzazione all'apologia. Ma certi appelli hanno il diritto di essere ascoltati.

Così deve avere pensato Rossella Schillaci, documentarista dall'approccio antropologico che si è concentrata nei suoi precedenti lavori sul tema delle migrazioni e delle identità culturali. Partendo da un'idea di Paola Olivetti, responsabile dell'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, e rispondendo direttamente a quello che Ada Gobetti, unica donna partigiana chiamata a parlare durante il convegno del Comitato di Liberazione Nazionale tenutosi nel 1965 a Torino, già allora chiedeva: «Io vorrei che qualche giovane studente, senza distinzione di sesso, non facciamo discriminazioni, volesse fare oggetto di studio quello che è stato il movimento femminile durante la Resistenza, dall'8 settembre al 25 aprile, per arrivare poi a vedere quella che è stata l'azione delle donne uscite dai Gruppi di Difesa e dai CLN, nelle varie Amministrazioni o nelle posizioni di Governo o di Amministrazione che hanno avuto poi allora».

Sporcandosi le mani con una quantità ingente di materiale (ottocento pagine di interviste trascritte, documenti, fotografie, quaranta film d'epoca, amatoriali e non) la regista ha costruito un percorso evocativo per immagini, sottolineato da un'incalzante colonna sonora strumentale; un vortice della memoria che ha il suo centro propulsore nella voce e nei racconti di tredici testimoni che hanno dato il loro contributo in interviste raccolte in un arco di tempo che va dagli anni Ottanta a oggi. Solo voci, niente volti: il risultato stilistico si distanzia dalla tradizionale impostazione da documentario televisivo, ma non solo. Come canta Milva, «Non è detto che fossimo sante / l'eroismo non è sovrumano» e noi, esseri umani piccoli e male educati dalla perversione dei nuovi media, tendiamo a innalzare su un piedistallo le voci che parlano bene, che hanno agito ancora meglio. Questo Libere vuole impedirlo in partenza: visto che si tratta di memoria collettiva, che i volti siano quelli di tutte.

Occupazione/Liberazione

Quello che colpisce delle immagini vecchie oramai di circa settant'anni che ritraggono le donne che hanno fatto la Resistenza sono i loro incredibili sorrisi: capaci di spalancarsi all'improvviso, sorprendendo l'operatore. Eppure la guerra e l'occupazione sono stati per queste donne, come per milioni di italiani, una prova tragica e spesso fatale. «Tutto il male avevamo di fronte / Tutto il bene avevamo nel cuore», recita Oltre il ponte ed è quello che emerge dalle parole delle ex partigiane. I ricordi più orribili fanno tremare la voce: l'arrivo dei tedeschi, la fame, il freddo, le cimici prima che gli americani portassero l'unica cosa buona che hanno inventato: il DDT. «Quando mio padre e mio fratello sono stati ridotti in fin di vita dai tedeschi, ho pensato che anche io dovevo fare qualcosa. Se rissa c'era da essere, ci sarei andata in mezzo anche io, non solo gli uomini».

Buttarsi nell'azione per molte donne è stata una scelta tragica quanto necessaria, ma ha anche significato, secondo un processo congiunto e irrinunciabile, buttarsi nella vita, conquistarsi un ruolo che non fosse solo quello di angelo che attende di fianco al focolare. È quella che una delle testimoni definisce «la vita motivata»: fare qualcosa di importante, insieme ad altre persone che non si ridefiniscono più rispetto a te tramite relazioni parentali, di genere o gerarchiche. Il termine “compagni” dice tutto: uniti, uguali, rivolti verso obbiettivi fondamentali. «Noi volevamo cambiare il mondo», ammettono quasi tutte, sminuendo il pericolo e la paura (che è più grande quando sei solo, mentre nell'azione collettiva è vanificata dalla volontà e dall'istinto di sopravvivenza), e confessando il loro desiderio di avventura, o più semplicemente, di libertà.

«Si faceva tanto all'amore». In anticipo di vent'anni dalla nascita ufficiale del movimento femminista, le donne scoprivano per la prima volta il diritto di essere se stesse, e la necessità di chiedere di più. È del 1943 la nascita dei “Gruppi per la difesa della donna” che chiedevano con lucidità e determinazione l'uguaglianza di retribuzione, l'accesso alle donne a qualsiasi impiego, a qualsiasi organizzazione politica e sindacale in condizioni di parità. E, ovviamente, il diritto di voto. Le donne che hanno trovato nella Resistenza lo strumento per scavalcare il ruolo che la società aveva loro imposto, individuano nella lotta politica la direzione per cambiare la loro vita e quella di tante altre donne.

Liberazione/Occupazione

La liberazione porta un'ondata di entusiasmo e festeggiamenti diffusi, ma smaltita l'euforia, la realtà si fa pressante. Le donne vengono sollevate da tutti gli impieghi che erano stati loro concessi in via straordinaria in tempo di guerra. Se i prigionieri liberati possono tornare a casa, anche le donne, liberate per forza dalla guerra, in tempo di pace devono tornare a casa. Una conquista fondamentale però, porta presto nuova fiducia alle ex partigiane antifasciste: il primo febbraio 1945 il governo Bonomi emana il decreto legislativo che conferisce finalmente il diritto di voto alle italiane di almeno ventuno anni, e poco dopo, specifica anche la loro eleggibilità alla vita politica. La strada verso la realizzazione di importanti passi verso l'uguaglianza e la parità sociale sembra spianata, ma le cose, come sappiamo bene, non saranno così semplici.

Presto le donne si rendono conto di avere pochissime rappresentanti al governo, e che all'interno degli stessi Partiti si preferisce relegarle in ruoli secondari, legati per lo più a mansioni amministrative e di segretariato, ghettizzarle in sezioni dedicate, chiamarle a raccolta solo in tempo di campagna elettorale. «Mio marito non voleva che prendessi la patente. E io ho sposato un partigiano». Nonostante l'Articolo 3 della Costituzione italiana del 1948 garantisca alle donne, sulla carta, pari diritti e pari dignità sociale in ogni campo, le donne che hanno lottato fianco a fianco con gli uomini per la liberazione del nostro Paese si rendono presto conto che libertà non è una parola che ha lo stesso significato per tutti i “compagni”.

Nella seconda parte di Libere le voci delle testimoni si colorano di rimpianto e di sarcasmo. Nonostante i passi avanti, molte poche delle cose per cui avevano combattuto si sono realizzate. Hanno lottato perché le donne non fossero licenziate appena sposate, ma ancora oggi, nel 2017, fare un figlio in Italia è considerato un attentato anche alla più modesta delle carriere lavorative femminili. «Non avere figli, quello ci voleva. Pensavo. Allora sì, mi sarei buttata a capofitto nella lotta politica». Dice una ex partigiana. E questo nel dopoguerra. Ancora oggi siamo chiamate molto, troppo spesso a scegliere tra crearci una famiglia e realizzarci a livello personale. Ma il fatto che realizzarsi sia una delle scelte possibili è un traguardo (ancora poco, ancora troppo poco) che possiamo dire di aver raggiunto anche grazie alle donne che questo documento per immagini e voci vuole e deve ricordare.