CINEFORUM / 567

Agosto non è il più crudele dei mesi

Come d’abitudine, il numero agostano di «Cineforum» contiene poche recensioni. Escono in sala pochi titoli in queste settimane e in buona parte sono un po’ quel che sono. È un bene, è un male? Sulla questione si sono spese parole a non finire e ognuno ha la sua da dire; e non sempre i pareri sul rarefarsi estivo delle proposte sono così negativi come qualcuno potrebbe aspettarsi… Insomma, le cose stanno così e tant’è. Quest’anno, tra i cinefili italiani agosto è stato soprattutto il mese dell’attesa di Dunkirk – in visione “nei paesi civili” dal 20 luglio mentre da noi rimandato al 31 agosto, appunto; ragione per cui no, non lo troverete, cari lettori, su questo numero ma dovrete aspettare il prossimo con lo “specialone” ponderato e di ampio respiro che ovviamente il film si merita – e della straziante costrizione al silenzio dei critici embargati che hanno dovuto digrignare i denti sui social in attesa del “via libera” arrivato soltanto il 21 agosto, quando ormai da tutti era stato decretato il capolavoro e dunque era piuttosto dura trovare parole nuove per farsi spazio nell’arena con qualche colpo da maestro capace di portare il dibattito a un livello ancora più alto. Con la Mostra veneziana ormai alle porte, per di più… In ogni caso, in cineforum.it i più accorti e fedeli di voi avranno già letto alcuni interventi importanti sull’argomento.

Va anche ricordato che il rovente agosto del 2017 ha portato al calor bianco l’entusiasmo dei fedeli lynchani (tra i quali non esito a inserirmi) con il crescendo di emozioni estetiche offerto, non nelle sale ma sui piccoli o grandi schermi televisivi, da Twin Peaks – The Return, su cui riprenderemo il discorso ovviamente, a ragion veduta dopo la sua conclusione.

Ebbene, tra le poche ma significative recensioni che troverete su questo numero, la mia personale predilezione va a quella rivendicazione parossistica «del primato dei maestri rispetto agli allievi», a quel gioco di specchi tra Bunker e Tarantino e Scorsese e Schrader stesso (che si esibisce impudicamente al centro – se di centro si può parlare – della sghemba ragnatela narrativa, «con il proprio aspetto placido, occhialuto, da intellettuale») costituito da Cane mangia cane. Schrader non è autore che sa creare consenso intorno alle sue opere, né lo vuole dopotutto, e ciò vale anche per questo film distribuito in piena estate probabilmente nella speranza che la selezione della sua ultima fatica per il concorso di Venezia 74 potesse comunque fare da richiamo (oppure no, chissà, è sempre difficile dire che cosa si muove nelle labirintiche circonvoluzioni delle strategie dei distributori italiani…). Scrivo queste righe proprio quando da poche ore è stato proiettato al pubblico della Mostra il suo First Reformed che sembra aver sollevato in gran parte della critica ammirazione ed entusiasmo, anche se naturalmente non mancano voci più controllate e circospette; con la speranza che i tempi d’attesa per il suo arrivo nelle sale siano questa volta più ragionevoli…