Silvio Soldini è un autore particolare. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che tratta sempre gli stessi temi, e in effetti alcuni elementi tornano da un film all’altro, a creare una sorta di filo rosso che percorre tutta la sua produzione, ormai cospicua; da un altro abbiamo assistito non solo al suo spaziare dal documentario al film di finzione e, nell’ambito di questo, a un alternarsi di registri (film più seri e centrati sui personaggi come L’aria serena dell’Ovest o Brucio nel vento, la trilogia delle commedie magico-surreali comunque intrise di moralità e sostanza, e film che affiancano all’aspetto psicologico quello sociale, come Un’anima divisa in due o Giorni e nuvole), ma anche a una ricerca che ha visto un abbandono progressivo dell’attenzione all’immagine e della “freddezza” proprie dei primi film, legate alla formazione giovanile e agli autori che ha maggiormente amato, da Antonioni a Wenders a Ozu, a favore di un’attenzione sempre maggiore alla storia, ai personaggi e al contesto in cui si muovono, che ha modificato anche il suo modo di lavorare con gli attori sul set. Senza contare che ha sviluppato nel tempo un modo di fare cinema fluido, leggero e ironico anche nella complessità delle situazioni narrate, che guarda anche al sociale o ai temi della “grande storia” di volta in volta affrontati con lucidità di sguardo, uno sguardo esterno che sa e mostra, ma anche con un calore che è cresciuto di film in film, e che è amore per i personaggi e per le storie che racconta.
Vediamo tutto questo nel decimo lungometraggio dell’autore, Il colore nascosto delle cose, presentato fuori concorso a Venezia e uscito subito dopo in sala, con un discreto successo di pubblico (1): la storia di Teo ed Emma è raccontata, nella sua semplicità, in maniera calda e affettuosa sia nei confronti di Emma, a cui va naturalmente anche la simpatia dello spettatore, sia nei confronti di Teo, un uomo sentimentalmente irrisolto con una storia familiare problematica alle spalle, che pare coinvolto veramente solo dal proprio lavoro di pubblicitario. Soldini tallona i suoi personaggi dando loro un respiro maggiore rispetto ad altre storie d’amore che ha raccontato (Cosa voglio di più in primis), ma seguendoli da vicino nel percorso che compiono che è, per Teo in particolare, un percorso di maturazione e crescita che lo porterà ad accettare la sua famiglia e quindi la sua storia personale, per potersi legare davvero a una donna, quindi per “darsi” a un’altra persona.
I film di Soldini contengono sempre, in effetti, un evento o una situazione, spesso mossi dal caso, che irrompono nella vita dei personaggi e li portano verso un cambiamento, reale o possibile (perché, lo sappiamo, le occasioni che la vita offre in questo modo bisogna saperle e volerle cogliere); è stato così per Veronica che troviamo, alla fine de L’aria serena dell’Ovest, con un nuovo lavoro in un paese straniero, per Pabe (Un’anima divisa in due) che torna al campo che però è stato smobilitato e che deve quindi inventarsi ancora una volta la vita, per Elena e per le altre protagoniste de Le acrobate che vanno sul monte Bianco, a fine film, a suggellare un nuovo inizio, per Rosalba che alla fine di Pane e tulipani balla il tango a Venezia con Fernando e con il figlio a lei più affine, per Tobias e Line sulla spiaggia di un altro paese al termine di Brucio nel vento, in esplicito contrasto con il finale del libro a cui il film per il resto rimane fedele, per Agata (Agata e la tempesta) in aereo a fine film con le consapevolezze nuove che ha acquisito e con un uomo e un posto a cui tornare, per Michele ed Elsa di Giorni e nuvole che troviamo sotto l’affresco restaurato a parlare e probabilmente a riconciliarsi, per Anna nell’apertura finale di Cosa voglio di più, per Diana e Leo in Il comandante e la cicogna. L’elemento nuovo in questo caso è che Emma, interpretata magistralmente da Valeria Golino, è una non vedente che Teo incontra in un Dialogo nel buio (i percorsi sensoriali presenti in alcune città in cui si viene portati, al buio, da persone non vedenti a sperimentare gli altri quattro sensi) e che cerca di conoscere anche per curiosità, per capire come vive nel quotidiano, cosa sente, cosa prova. Una curiosità superficiale, stimolata dalle parole del collega che lo considera un donnaiolo oltre che dalla voce roca e sensuale della donna, che però lo porta a compiere, gradualmente, un percorso di conoscenza del mondo dei non vedenti e un percorso di consapevolezza personale, quello di cui parlavamo sopra; e che porta anche noi spettatori in quel mondo, come fossimo in un Dialogo nel buio, e in effetti a inizio e a fine film lo siamo (ma su questo torniamo più avanti). E la vita anche quotidiana dei non vedenti è illustrata da Soldini con discrezione e tatto, stando in punta di piedi in un mondo che ha mostrato in due dei documentari che si collocano tra Il comandante e la cicogna (2012, l’ultimo lungometraggio di finzione) e questo film, Per altri occhi (2013, con Giorgio Garini) e L’albero indiano (2014). Il secondo è lo sviluppo di una storia del precedente, quella dello scultore Felice Tagliaferri nella sua esperienza indiana; il primo è un’opera suggestiva e convincente che prende in considerazione alcune persone non vedenti e le mostra nella loro vita quotidiana quindi nella loro normalità, con sguardo rispettoso e attento, a partire da un’esperienza autobiografica (la conoscenza di un osteopata) analoga a quella che fa Teo nel nostro film; mostrandoci come queste persone, che non si sono abbandonate alla commiserazione ma hanno saputo reagire alle difficoltà insite nella loro condizione, sono arrivate a svolgere professioni o a praticare attività che non ci aspettiamo che un cieco possa compiere (suonare il violoncello, andare in barca a vela, tirare con l’arco e sciare, oltre che scolpire e fotografare).
Per cui un altro elemento caratterizzante il film è la capacità di Soldini di spaziare dal documentario alla fiction, come abbiamo già avuto occasione di dire, anche con passaggi di consegne dall’uno all’altra, per cui l’opera, fruibile anche dai non vedenti attraverso l’applicazione Movie Reading, oltre a essere una storia d’amore come Un’anima divisa in due, Brucio nel vento e Cosa voglio di più, ma anche ovviamente Pane e tulipani, è un film privo di retorica o di pietismo sul significato della cecità; che per Emma è vedere dietro l’apparenza, è dare un colore alle cose e alle persone per poterle cogliere meglio (l’essenziale è invisibile agli occhi, ha detto qualcuno). Emma peraltro è quella che realmente vede, che ha la visione di quello che Teo non vede o non vuole vedere, e questo è anche il senso del loro incontro: lui la aiuta a vedere la realtà concreta, lei lo aiuta a guardarsi dentro, e a scoprire la propria realtà psicologica ed esistenziale. Per cui un’altra caratteristica dei film del regista, che è quella di inserire i suoi personaggi, anche nei film più strettamente psicologici, in un contesto politico o socio-economico che ha il suo peso nella storia, si esplica qui nell’illustrazione di una realtà poco conosciuta, e nell’incontro tra due “diversità”.
Un altro elemento da sottolineare è la semplicità di questo film e di questa storia a due che è però, come sempre nei film di Soldini, una semplicità che non esclude la complessità dei significati e dei piani attraverso cui guardare alla narrazione, e che non è mai, quindi, superficialità ma piuttosto leggerezza; senza contare il fatto che Emma e Teo sono attorniati da personaggi minori che arricchiscono il film con la loro presenza anche comica o buffa, creando quelle architetture narrative a cui l’autore ci ha abituato fin dal primo film. Questa semplicità, che è legata strettamente allo sguardo affettuoso e complice sui personaggi di cui si diceva all’inizio, comporta naturalmente una semplicità stilistica che, anche qui, non è trasandatezza ma misura, sobrietà, attenzione all’essenza. L’unico vezzo, se volgiamo chiamarlo così, è la circolarità che vede l’opera finire com’è cominciata, dentro al percorso del Dialogo nel buio, con lo schermo nero e le voci e i rumori prodotti dai personaggi in un momento che ha del teatro dell’assurdo, in cui gli amanti si ritrovano in un lieto fine che può essere considerato prevedibile, ma che ha tutto il sapore della verità.
(1) Curioso che la Mostra del Cinema abbia premiato, quest’anno, un film che è rivolto anche e soprattutto al grande pubblico e che presenta a sua volta una disabilità nella protagonista.