CINEFORUM / 586

Bellocchio, ma non solo

Che questo numero di «Cineforum» iniziasse dando grande spazio a Il traditore di Marco Bellocchio era inevitabile, anche visto e considerato che di Bellocchio abbiamo, tra i nostri più affezionati critici, uno dei più appassionati e acuti esegeti, che risponde al nome di Anton Giulio Mancino. La rivista si apre dunque questa volta con un testo che è ben più di una recensione, ma un saggio basato sulla considerazione che «è giunto il momento, per Bellocchio alla guida di un tipo di spettatore smaliziato e smagato, di fare ancora i conti con il passato, privato e collettivo, quasi a voler chiudere con Il traditore una trilogia ideale sulla storia italiana contemporanea incompiuta e inconcludente inaugurata da Buongiorno, notte e proseguita con Vincere».

Un altro film italiano, Selfie, apre poi la sezione specifica dedicata ai film in sala. Un film anomalo, fuori dagli schemi, ma che non soltanto a causa di questa sua irregolarità è riuscito a impadronirsi dell’attenzione di pubblico e critica in queste ultime settimane. Un regista che ha compiuto un «atto di fiducia […] simbolico, sociale, politico ed etico», passando ai suoi due protagonisti lo strumento di ripresa, ed è stato ripagato (e noi con lui) dalla (ri)scoperta che l’arte può essere, quando meno te lo aspetti, ancora in grado «di esaltare e salvare l’essere umano attraverso la bellezza».

Ciò detto, va però sottolineato come delle otto recensioni lunghe di questo numero 586 ben quattro siano di film francesi. Una vita violenta di Thierry de Peretti, Climax di Gaspar Noé, Quel giorno d’estate di Mikhael Hers, Pallottole in libertà di Pierre Salvadori. Una felice combinazione di uscite ci ha permesso questo mese di dare il giusto spazio alla cinematografia d’Oltralpe, della cui ricchezza quantitativa e qualitativa quasi sempre siamo costretti a rendere conto per spizzichi e bocconi. La succosa panoramica formata dai quattro titoli presenti nelle pagine di questo numero ci concede invece di spaziare fra storie, idee di cinema, stili e “generi” (in senso lato…) tanto differenti tra loro e dunque in grado di fornire suggerimenti e considerazioni che, prese nel loro insieme, finiscono per formulare un invito caloroso a rivolgere qualcosa di più di una semplice attenzione di cortesia a questo cinema così vicino eppure spesso così lontano dal ricevere l’interesse complessivo che merita.

A chiudere questa vetrina, American Animals, I morti non muoiono e Rocketman: tra USA e Gran Bretagna tre titoli che propongono approcci inconsueti – ognuno di essi in modo diverso e con diversi risultati, anche in rapporto alle aspettative di cui sono stati fatti oggetto – alle vicende che ci raccontano. Due di essi (così come Il traditore) provengono dal variegato contenitore di film che ogni anno, per il nostro piacere e per qualche dispiacere, viene aperto a Cannes. Al quale, ça va sans dire, sarà dedicata buona parte delle pagine a seguire. Buona lettura.