CINEFORUM / 587

Due amici, di Louis Garrel

Due amici è il primo lungometraggio, come regista, di Louis Garrel. Un esordio nutrito di eloquenza cinefila, dove ben s'avverte il debito materiale e affettivo verso il cinema dei padri. Non tanto il cinema del padre reale, Philippe Garrel, qui peraltro omaggiato nella scena in cui i protagonisti del film partecipano come comparse alle riprese di una pellicola ambientata tra le barricate del '68, ma quello dei maestri della Nouvelle Vague. La lezione di questi ultimi (qui come nel successivo L'uomo fedele) si può percepire nello sguardo partecipe che Garrel getta sulla gioventù del suo tempo, colta nei suoi umanissimi turbamenti affettivi; o ancora nella raffigurazione di un femminile inteso come universo enigmatico e sfuggente, e proprio per questo ammaliante. Ma lo spirito della Nouvelle Vague è avvertibile soprattutto nella disinvolta freschezza con cui Garrel conduce il ritmo della narrazione, dove pare di poter percepire un'eco dell'eloquio svelto e scanzonato, a tratti anche un poco negletto, del Truffaut “minore”, quello di Tirate sul pianista o di Mica scema la ragazza!.

La maniera dei nouvellisti arriva a Garrel anche attraverso la mediazione di Christophe Honoré. Honoré, con cui Garrel ha saputo stabilire, come attore, un sodalizio fruttuoso, ha realizzato una serie di pellicole assai diverse tra loro per stile, approccio, ambizioni, in cui la malinconia lieve e la tenerezza amara di Jacques Demy si coniugano a modelli di narrazione e rappresentazione memori del magistero di Rohmer e soci. L'apporto del cineasta bretone è leggibile, in particolare, nel mélange di umori ilari e burleschi e di toni gravi e drammatici che informa il film. Di fatto Due amici possiede la baldanza ariosa e monellesca e la festosa tessitura ritmica di una commedia romantica di altri tempi, entro cui tuttavia s'insinuano, ma senza mai dare nello stridente, accenti pensosi, amari, dolenti: dietro la bellezza conturbante di Mona, dietro la goffaggine clownesca di Clément, s'intravedono afflizioni e lacerazioni segrete.

l film organizza il proprio tracciato narrativo intorno a un modello consolidato, quello del triangolo amoroso. Un meccanismo in sé non nuovo (si potrebbero citare i nomi di Truffaut, Godard, Sautet, Eustache…), ma a cui Garrel ha saputo conferire un segno di estrosa originalità. Due ragazzi e una ragazza, dunque. Le figure maschili sono giocate sul contrasto. Avremo allora due temperamenti antitetici, all'apparenza inconciliabili: una coppia stravagante, mal assortita, all'interno della quale, tra l'altro, pare di cogliere sottili venature omoerotiche. Clément è l'antieroe fragile, maldestro, dubbioso sulle proprie capacità di seduttore (ha un aspetto insignificante) e pur divorato da un amore lancinante. Abel è un dongiovanni proletario, disincantato e sornione, convinto che nessuna donna possa resistere all'uomo che la vuole. L'oggetto del desiderio maschile è Mona, una ragazza malinconica e inquieta, che maschera sotto un volto radioso lo sconforto che l'affligge (deve far ritorno ogni sera nel carcere dove sta scontando la pena per una colpa non precisata). Mona è il mistero ambiguo e sempre inafferrabile del femminile, lo stesso vanamente inseguito da tanti personaggi maschili di Truffaut, e che Abel, il protagonista di L'uomo fedele (interpretato egli pure da Louis Garrel) cercherà invano di decifrare. La storia di questo bizzarro ménage à trois sarà allora punteggiata da equivoci, dinieghi, cedimenti, finzioni, illusioni, travestimenti, disincanti. Garrel seguirà da presso le peripezie dei suoi eroi accordando a ciascuno di essi un'attenzione benevola, cordiale, fraterna.