CINEFORUM / 588

Promemoria semiserio

«I festival non servono a niente!» / «Guai se non ci fossero i festival!». Apocalittici e integrati. Le occasioni per riproporre la dicotomia in questione sono sempre più numerose visto anche il proliferare di manifestazioni, a partire dalle più blasonate e intoccabili per arrivare a quelle locali in continua lotta alla ricerca di un motivo e di un budget che ne sostengano l’esistenza. La verità, se vogliamo usare questa parola altisonante, come spesso avviene non sta tanto nel mezzo quanto di lato. Proviamo a modificare il punto di vista per abbozzare una nostra – parzialissima – lettura a partire dalle due posizioni.

Per quale fine sono fatti i festival? E di conseguenza, per chi? Per mostrare film: cortometraggi, lungometraggi, fiction, documentari, docufiction, e via destreggiandosi. Ci sono festival – generalisti per così dire – che distribuiscono il loro repertorio in sezioni specifiche che fanno corona a quella principale, il mitico “concorso”; altri sono invece specializzati e per questo si ritagliano il loro spazio e/o sottospazio di genere, in cerca d’identità. A guardare i film accorrono spettatori suddivisi in settori altrettanto variegati: cinefili, cinecritici, appassionati, studiosi e studenti, curiosi di cinema eccetera. La ripartizione più interessante è quella tra i rappresentanti della critica, della paracritica e di chi vorrebbe, si allena, si predispone a far parte di una o dell’altra. È sempre avvincente assistere alle manovre di questi schieramenti, protagonisti instancabili di strategie di visibilità e di riconoscimento – scontati e dovuti per una minoranza privilegiata e invidiata; bottino ambìto da conquistare in seguito a scontri durissimi, destinati a lasciare sul terreno morti e feriti (metaforicamente!), per gli altri.

Fortunatamente i festival sono (quasi) sempre anche il risultato di un interessante lavorio critico indirizzato, pur tra mille mediazioni e compromessi, a selezionare titoli, tendenze, idee di cinema, pensiero (i film pensano… talvolta), nella ricerca incessante di una proposta complessiva da sottoporre ai propri spettatori. Con l’ambizione di raggiungere, grazie all’amplificazione mediatica, anche quelli che seguono i lavori da lontano.

Circoscrivere lo stato dell’arte. Operazione rischiosa, della quale va reso merito a chi comunque ci prova seriamente, ben sapendo che le conclusioni raggiunte saranno sempre provvisorie, precarie, da rivedere alla prossima edizione soprattutto in questi tempi di cambiamenti rapidissimi e non sempre prevedibili: di tecniche, linguaggi, modalità produttive e di consumo. La skyline è frastagliata, tutt’altro che piano il percorso per avvicinarla e metterne a fuoco dettagli, identificarli come parti di un discorso capace di senso. Ne deriva perciò un invito appassionante, al quale è difficile, forse impossibile, sottrarsi: seguitiamo dunque a renderne conto cercando (non sempre è facile, si sa) di limare i facili entusiasmi e le altrettanto facili delusioni del momento.