CINEFORUM / 592

Elogio dell'umiltà

Alice e il sindaco è la storia dell'incontro tra due figure tra loro assai diverse e pure misteriosamente affini, così come usa nel cinema francese dei nostri giorni: un uomo di potere stanco, sfinito da trent'anni di frenetica attività politica, ma ancora abbarbicato alle aspirazioni e agli ideali della giovinezza perduta (un Fabrice Luchini a cui la regia concede briglia sciolta, ma che pure sa contenere il suo stile di recitazione istintivamente istrionesco); una ragazza con alle spalle una solida preparazione letteraria e filosofica (ha tenuto lezioni all'estero; discetta con competenza di Marc Bloch, Orwell, Rousseau), incerta ancora sul percorso verso cui incanalare la propria carriera professionale, e precipitata all'improvviso in un mondo, quello della politica, che non è il suo, di cui ignora riti, strategie, insidie, e verso cui condurrà uno sguardo lucido, smagato, scompigliandone senza volerlo gli equilibri (1). Due personaggi che si scopriranno accomunati da una sorta di solitudine scontrosa (poco o quasi nulla ci viene mostrato della loro vita privata, e però appare all'evidenza come entrambi aspirino a dare un senso nuovo alla propria situazione personale), oltre che dall'amore per la lingua filosofica della speculazione morale: la parola densa e viva, di cristallina evidenza, della letteratura e della teoria politica con cui essi imbastiscono i loro confronti verbali, a cui si contrappone la neolingua vuota di senso, sciatta, incolore, utilizzata dai professionisti della comunicazione.

Paul, che avverte in sé i segni della crisi esistenziale («Ho l'impressione di essere come un'automobile da corsa con un motore molto potente che ormai gira a vuoto, per forza di inerzia»), sente di non avere più idee. Non riesce più a ragionare con la necessaria lucidità sulle mille decisioni che è chiamato a prendere come sindaco di Lione. Il suo lavoro si è ormai ridotto a un cumulo caotico e insensato di urgenze e impegni diversi: un balletto spossante di appuntamenti, riunioni, incontri, discorsi ufficiali, serate di gala. Incapace di iniziativa e di riuscita, incerto su tutto (intorno a lui c'è anche chi caldeggia la realizzazione dell'improbabile e scriteriato progetto "Lione 2500"), Théraneau non appartiene più a se stesso. Tuttavia la sua verve oratoria non si è affatto appannata (si pensi all'appassionato discorso che pronuncia davanti a una platea di anziani partigiani), e così, preso dalla morsa delle proprie ambizioni, egli mira a candidarsi alle prossime presidenziali e a realizzare un impegnativo programma di riforme (è un uomo di sinistra che crede nel progresso e si è sempre dimostrato attento verso i problemi del territorio da lui amministrato). Paul sceglie dunque di ricorrere ai servigi di Alice nella speranza di rigenerare l'energia perduta e tornare a pensare. È come un uomo ormai di là con gli anni che aspiri a riacquistare la freschezza e l'ardore della lontana gioventù. Alla brillante intellettuale che ha deciso di reclutare nella sua squadra di consiglieri egli chiede allora di nutrire il suo pensiero fornendogli idee, spunti di riflessione, suggerimenti e, insieme, nuovi stimoli per ricominciare a combattere.

Alice e Paul scoprono il piacere di conversare e di confrontarsi sui temi e dilemmi più diversi: la finalità del'agire politico, la crisi degli ideali della sinistra, il rapporto tra pensiero e azione, il crescente scollamento tra la cultura e il mondo del potere... I loro colloqui si consumano nei ritagli di tempo che l'uomo riesce a strappare all'attività politica (durante gli spostamenti in automobile da un appuntamento di lavoro e un altro; prima dell'inizio di una conferenza; a tarda sera, quando gli altri collaboratori del sindaco sono andati via...) e assumono la forma di pause ristoratrici in cui la parola torna ad acquisire i tempi consoni alla riflessione intellettuale. La dinamica del film (i cui toni restano quelli di una commedia garbata e lieve) sarà allora imbastita sull'alternarsi dei ritmi febbrili con cui Théraneau si dedica all'esercizio del potere, e quelli, più pacati, delle lunghe scene dialogate, sequenze di dichiarata ascendenza rohmeriana (2) dove la parola detta i tempi e il senso dell'azione, e in cui, man mano che il rapporto con Alice evolve verso un progressivo avvicinamento (3), Paul sarà chiamato a prendere coscienza dei limiti di cui deve tener conto ogni progetto politico, anche il più nobile e il più ambizioso (saper essere modesti e rinunciare ai deliri di onnipotenza di cui si nutrono i sogni dell'uomo di potere: è questo il suggerimento che Alice sente di poter dare al sindaco dopo il loro primo incontro).

Nicolas Pariser (qui al suo secondo lungometraggio dopo Le Grand Jeu, un thriller del 2015 che non è arrivato sugli schermi italiani) si guarda bene dal ritrarre con supponenza e disprezzo chi ha scelto di fare della politica la propria professione. Evita le forme della caricatura e dell'irrisione proprie della più vieta retorica tribunizia (4). Il suo sguardo, tuttavia, resta uno sguardo disincantato, tutt'altro che indulgente, che non ha nulla del candore falsamente ingenuo e accomodante di talune pellicole americane (penso a certi prodotti di furbesca intonazione alla Capra, come Dave. Presidente per un giorno, 1993, di Ivan Reitman, ad esempio). E così il film non tace sugli intrighi e le piccole miserie di cui si nutre la meccanica del potere (ne sarà vittima la stessa Alice, la cui familiarità crescente con Paul non tarderà a suscitare la gelosia di quanti nell'entourage del sindaco si sentiranno minacciati nelle loro prerogative) (5). Né il film tace sulle disfunzioni del sistema democratico dei nostri giorni: sulla frattura comunicativa che si è ormai prodotta tra chi è chiamato a gestire la cosa pubblica e la gente comune. Come già avveniva ne Il ministro. L'esercizio dello Stato, 2011, di Pierre Schoeller, anche qui il lavoro dell'uomo politico si configura come un arrovellarsi vano e inconcludente. I margini di manovra di cui il sindaco dispone si sono fatalmente assottigliati, così come la sua capacità di incidere sui problemi sociali. A farla da padroni sono ormai i tecnici della comunicazione, gli esponenti della grande industria e degli interessi finanziari.

Il confronto con Alice indurrà Paul a modificare la sua agenda politica e a porsi in contrasto con la linea del partito. Egli si convince di poter sfidare gli sterili automatismi di un sistema ormai incancrenito. Ma il discorso programmatico che i due scriveranno a quattro mani – una veemente requisitoria contro quella politica che, anziché perseguire il bene comune, ha scelto di servire i poteri forti – non sarà mai pronunciato. Il senso di frustrazione e di impotenza di cui Théraneau si sentiva afflitto tornerà a riemergere. La collaborazione con Alice non ha dato i frutti sperati. E tuttavia essa ha consentito a Paul di scuotersi da ogni pia illusione. Nella sua scelta finale di sottrarsi all'agone politico è da vedere non tanto una sconfitta, una definitiva rinuncia a battersi per modificare l'esistente, quanto piuttosto un'accettazione dei propri limiti, il segno di una salutare umiltà. Il libro che, nella scena conclusiva del film, l'uomo riceve in dono da Alice (il Bartebly di Melville) acquista a questo punto un carattere allusivo.

 

 

(1) «Racconto la storia di qualcuno che non pensa ma che ha una vocazione (il sindaco) e di qualcuno che pensa ma non ha una vocazione (Alice)» (Nicolas Pariser). La ragazza rappresenta una visione alternativa delle cose, lo sguardo innocente e stupito che consentirà allo spettatore di esplorare il paese delle meraviglie (e delle segrete miserie) della politica.

(2) Pariser ha manifestato a più riprese, la propria ammirazione verso Eric Rohmer, di cui era stato allievo alla Sorbona. «Il mio debito nei suoi confronti, come cineasta e come professore, è infinito. Mi piace anche che Rohmer si presentasse come un regista di film d'azione, in quanto la parola non aveva per lui solo valore in se stessa, ma era anche un'azione. Voglio dire che non è il dialogo che racconta o fa avanzare direttamente il racconto: il dialogo è una delle modalità d'azione dei personaggi, ma la storia viene tessuta altrove». Il titolo stesso del film intende essere un esplicito omaggio a L'albero, il sindaco e la mediateca (1993).

(3) La relazione tra i due, che a tratti assume l'aspetto di un rapporto sostitutivo padre/figlia (il ricordo, inevitabilmente, va a Nelly e Monsieur Arnaud, 1995, di Claude Sautet), resta in ogni caso, sino alla fine, una relazione platonica, felicemente ignara di complicazioni sentimentali o erotiche. Anche quando l'uomo confida alla ragazza il turbamento che gli procura la prospettiva di un incontro con l'ex moglie («Non può neanche sapere fino a che punto le femmine mi agitino, Alice»), l'ambigua complicità che ne consegue non giunge a intaccare il ritegno che divide i personaggi.

(4) Nel film c'è anche chi esterna una furente e incomposta repulsione nei confronti dei politici, come il tipografo che non capisce perché Alice si presti a scodinzolare dietro a quella gente. Al che lei, infastidita, gli rammenta il ruolo che, anche nei tempi passati, il filosofo ricopriva come consigliere del principe.

(5) Nello staff del sindaco Alice sarà percepita come un elemento di difformità, un corpo non omogeneo all'ambiente in cui di trova a operare e che essa rischia di destabilizzare.