Sam Mendes

1917

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Uniamo i puntini. Sono soltanto due. Un inizio e una fine. La fine, però, è uguale all’inizio. Si tratta, insomma, di una circolarità. Perché tutto è sempre uguale, e si torna sempre dove si era. La guerra è sempre uguale. Sempre oscena. Sempre inutile. A perderci, e a perdercisi dentro, tra i due puntini, nella guerra sempre uguale e sempre oscena, sono naturalmente gli innocenti più giovani. Innocenti e inconsapevoli. Almeno fino all’ultimo puntino, la fine, quando l’innocenza è definitivamente inquinata, e probabilmente l’inconsapevolezza non c’è più.

Il cinema di guerra, da sempre, e spesso anche il più sperimentale, è un cinema per la coscienza. Quando va bene la informa e la scuote, e informa e scuote anche la nostra coscienza delle immagini (diciamo quando va benissimo, in quest’ultimo caso); quando va meno bene, si limita a blandirla con il proprio sistema di segni e di norme.

1917 è un war movie tra due puntini, con un innocente (puntino numero uno) che non lo è più, innocente, una volta raggiunto il suo scopo (puntino numero due). Durante il tragitto, non diritto ma spappolato perché la guerra spappola anche le traiettorie e gli schemi, egli acquista via via qualcosa di più di una percezione delle cose: acquista cioè una sensibilità, che prima è forse appannata (puntino numero uno) e che dopo al contrario è, se non lucida, quanto meno e generalmente – appunto - informata (puntino numero due).

Tutto ciò a costo di sforzi pressoché sovrumani, si tratta pur sempre di eroismo straordinariamente sventato: l’innocente, adolescente mandato allo sbando in un paesaggio di morte senza significato, è il teste ma anche il vessillo, lo sguardo ma principalmente il prode. Egli è l’apostolo non della giustizia bensì della tenacia. Quello che non porta il pane a casa ma porta senza dubbio onore e gloria al suo credere (in sé stesso, nei valori di pace, negli obblighi militari, nella bandiera, nella fratellanza, nella vita).

Tuttavia questo war movie è inappropriato. Non in quanto impertinente o indecoroso (magari): è inappropriato per eccesso e abuso di lusinga. 1917 corteggia lo spettatore e adula la propria specie. Così nasce (puntino numero uno) e muore (puntino numero due) dentro gli stessi spazi e le stesse misure di cui mostra i muscoli. È un film, appunto, muscolare, ed è spaccone e cinico nel “disinteresse” al genere al quale peraltro vuole prepotentemente appartenere e dove, più di tutto, esige di fare la differenza. Perché oggi non è possibile raccontare in questo modo la gioventù e la guerra, non dopo Dunkirk, La battaglia di Hacksaw Ridge e Billy Lynn - Un giorno da eroe.

Sam Mendes vuole rifondare da zero la mitologia del coraggio e dell’abnegazione, sfruttando archetipi e prodigio tecnico con il medesimo disincanto sprezzante. Tra i suoi trucchi digitali e i suoi due macro piani sequenza ufficiali (ma ce ne sono di più: magia del cinema), 1917 sceglie un umanesimo scontato e di sole maiuscole (puntino numero uno) per finire schiacciato sotto il peso di un esibizionismo indomito (puntino numero due). L’artificio per l’artificio.

Rimpiango tanto la tersa classicità orizzontale di Gli anni spezzati (che è un war movie fatto di corse, ma senza inizi e senza fini che ne condizionino il senso, senza puntini vincolanti: infatti si conclude con un fermo immagine sull’ultima corsa possibile, ed è ancora adesso straziante) quanto la stropicciatura di Mattatoio 5 (che è un war movie senza esserlo veramente, e dove gli inizi, le fini e i puntini che li uniscono sono sempre rimossi e differiti), ma anche Nolan, ad esempio, un altro spesso accusato (molto a torto) di sacrificare l’uomo alla macchina, cioè i sentimenti al cinema, la gioventù l’ha resa più forte e più numerosa dei suoi orizzonti di guerra, non una semplice superficie di virtuosismo sconsiderato.

E visto che si parla anche di immagini (non chiamo in causa la morale perché sarebbe troppo facile), c’è una bella differenza tra il war show di Ang Lee e la war performance di Mendes: Billy Lynn - Un giorno da eroe, il Nashville del cinema di guerra contemporaneo, guarda in faccia la giovane età celebrandone il rito funebre e mettendola sotto processo per le sue stesse convinzioni; 1917, al contrario, usa il portento visuale quale ricetta e clausola, sfoderando l’ideologia – di per sé già banalissima – in un bagno di spettacolo.

1917
Gran Bretagna, Usa, 2019, 110'
Titolo originale:
1917
Regia:
Sam Mendes
Sceneggiatura:
Krysty Wilson-Cairns, Sam Mendes
Fotografia:
Roger Deakins
Montaggio:
Lee Smith
Musica:
Thomas Newman
Cast:
Andrew Scott, Benedict Cumberbatch, Colin Firth, Dean-Charles Chapman, George MacKay, Mark Strong, Richard Madden
Produzione:
Amblin Partners, Neal Street Productions
Distribuzione:
01 Distribution

1917. I caporali Schofield e Blake devono attraversare la Terra di nessuno tra le trincee inglesi e tedesche per trovare il fratello maggiore del secondo, un tenente del 2° Devon. Hanno ricevuto l’ordine di dirigersi a sudest, fino a quando non raggiungeranno la cittadina di Écoust, dove dovranno individuare il battaglione appostato nel Bosco di Croisilles, consegnare al Colonnello Mackenzie una lettera da parte del Generale Erinmore e salvare così centinaia di commilitoni da morte sicura per opera dei tedeschi. In pochi sanno, e anche Erinmore lo ignora, che in realtà i tedeschi hanno messo in scena un ritiro strategico e che in realtà sono pronti ad annientare l'esercito nemico.

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