Shining compie 40 anni

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Il 22 dicembre del 1980, uscì in Italia Shining, versione cinematografica del romanzo di Stephen King del 1977 targata Stanley Kubrick. Nel numero di febbraio-marzo 1981, «Cineforum» pubblicò un lungo speciale su Shining, composto di più pezzi: vi proponiamo l'articolo di Davide Ferrario


Oltre l’infinito l’Overlook Hotel

Tutto il cinema di Kubrick è un cinema dell’intelligenza: intelligenza come ordine razionale e principio organizzativo, tanto dell’universo quanto della messa in scena. Da qui tutte le leggende e i luoghi comuni su Kubrick regista-demiurgo, dio creatore di film che non possono fare a meno di essere degli exploits. Come diceva Jean-Loup Bourget su «Positif»: «Non ci si aspettava da Kubrick un buon piccolo film!».

Infatti Shining non è un «piccolo film», anche se probabilmente non è una delle opere migliori di Kubrick. E non tanto, a mio avviso, perché ripercorre un genere classico come l’horror sconvolgendone i canoni (cosa di cui peraltro si occupa in queste pagine Emanuela Martini), ma perché continua in maniera suggestiva il discorso dei suoi film precedenti, in modo particolare 2001: Odissea nello spazio.

L’astronauta David Bowman, dopo aver abbandonato la Discovery per dirigersi su Giove, veniva sottoposto a un terribile “passaggio” di dimensione, a un bombardamento di sensazioni, suoni, forme e colori, la cui traiettoria era un movimento di penetrazione, l’arrivo della navicella di Bowman sul pianeta. La stessa impostazione regge anche tutto l’avvicinamento di Jack Torrance all’Overlook Hotel. Prima una soggettiva, ripresa in volo sul fiume (1), dalla parte del pubblico; posto nel medesimo punto di vista “centrale” da cui aveva osservato in 2001 l’odissea dell’astronauta, quindi, una serie di riprese della Volkswagen/navicella che attraversa il paesaggio identificato dall’inquadratura iniziale.

Questo scarto è il primo sintomo di quello che sarà Shining rispetto a 2001: l’esame anatomico, operato a freddo, di quella stessa intelligenza il cui esito metafisico veniva bruciato, in 2001, nello stupore di una visione: l’incredibile eclisse del feto con la Terra. Il richiamo di queste prime sequenze a 200l è evidentissimo: il senso di avvicinamento a una meta essenziale è scandito da un Dies Irae altrettanto tempestoso della musica di Ligeti in 2001, lo schema geometrico del “paesaggio” attraversato, viene fallo derivare, invece che da un computer, direttamente dalla natura: gli alberi si ergono come guglie di una arcana, labirintica costruzione.

Il labirinto, infatti, è, in maniera molto ovvia, il simbolo del film; e a sua volta (e altrettanto ovviamente) è un tradizionale simbolo dell'intelligenza umana. Kubrick trova modo di inserire questo simbolo in Shining inventando “The Overlook Maze”, un labirinto di siepi che rimpiazza le idiote e volgari siepi animate del romanzo di Stephen King. Non solo: il carattere labirintico del film è svolto in maniera virtuosistica dai numerosi carrelli che descrivono i percorsi dei protagonisti all’interno all'albergo (2). Questo ci rimanda alla situazione di isolamento in un ambiente labirintico propria dell’astronave di 2001, dove addirittura erano aboliti i riferimenti alto-basso, avanti-indietro, come nella famosa sequenza del footing “circolare” dell’astronauta.

Sia l’Overlook che la Discovery mantengono questi caratteri in quanto prodotti del lavoro e dell’intelligenza umani. Non sono, in sé, luoghi ostili ai loro abitanti: Jack Torrance, anche prima di caderne completamente succube, ama l’albergo, e così sua moglie Wendy. Il rapporto con lo spazio che circonda David Bowman e Jack Torrance muta solo in rapporto al prevalere, nel corso della vicenda, di una presenza altra: Hal 9000 in 2001, il malefico genio dell’Overlook Hotel in Shining.

Un piccolo passo indietro, sul perchè l’idea dell’albergo abbia tanto attratto Kubrick. Quando Bowman arriva su Giove si ritrova in una specie di appartamento preparatogli dagli alieni, i cui principi di arredamento sono, come precisò Kubrick in una vecchia intervista, sostanzialmente due: il Settecento (Barry Lyndon ci avrebbe messo sette anni ad apparire) e un grande albergo americano contemporaneo. Vale a dire, il Secolo dei lumi e il Secolo della cultura di massa. Senza farlo corrispondere a una metafora che sarebbe probabilmente forzata, valle la pena notare che il motivo dell’albergo collegato a una espressione dell’intelligenza non è arbitrario, ma si trovava già nel corpus kubrickiano. La stanza da bagno della 237, poi, è chiaramente modellata sulla stanza da bagno verde dell’appartamento di 2001.

Una presenza esterna, intelligente e potente, condiziona dunque sia la vicenda di 2001 che quella di Shining. Il risultato però non è il puro e semplice ripetersi di uno schema, ma, a partire da questo, la complementarità delle due storie, che giungono a illuminarsi a vicenda. David Bowman e Jack Torrance rappresentano due figure simboliche dell’esperienza e della coscienza umane: il primo è un esploratore, il secondo uno scrittore. Bowman trova sulla sua strada un avversario, il calcolatore elettronico, che fa, del principio di razionalità secondo il quale funziona, il punto di forza per subordinare (ed infine eliminare) qualsiasi apporto dell’intelligenza umana, la quale è soggetta anche ad altri tipi di considerazioni oltre quelle puramente logiche.

Lo stesso rapporto gerarchico, all’altro estremo della psiche umana, tenta di imporre su Torrance il demone dell’Overlook Hotel, per mezzo di un’influenza oscura e innominabile che, da scrittore (quindi uomo deputato a sondare gli abissi della psiche come Bowman esplorava gli abissi dello spazio siderale), lo affascina e lo soggioga. Ma la volontà espressa dall’intelligenza puramente razionale come da quella puramente irrazionale è unica: distruggere e uccidere ciò che non si conforma ad esse. Si definisce così la medesima radice dei due tipi di intelligenza, apparentemente cosi opposti: l’essere autarchica e autoritaria, intollerante, chiusa alla creatività e globalmente negativa. La massima razionalità si rovescia nella massima irrazionalità, e viceversa. Se l’Overlook avesse un occhio, sarebbe quello senza espressione di Hal 9000.

Quando il cervello di Torrance (che, al contrario di Bowman, non ha saputo ribellarsi completamente all’ordine che gli veniva imposto) “flippa” completamente, osserviamo che la sua reazione è del tutto simile a quella di Hal quando viene scollegato da Bowman (3): non sa far altro che ripetere verbi e filastrocche infantili (4). L’intelligenza negativa cela, nonostante le apparenze, la più profonda regressione della ragione.

Questa dialettica, estremamente suggestiva, ma forse troppo astratta, può essere tradotta e compresa in modo immediato se ci riferiamo ad altri film di Kubrick: e precisamente a quelli in cui essa si collega all’espressione chiara e netta del potere. L’intelligenza negativa è quella che guida le scelte degli ufficiali di Orizzonti di gloria, così come condiziona l’insana politica dei ministri di Arancia meccanica. Da questo punto di vista, Kubrick si riallaccia a una corrente culturale tipicamente anglosassone, tradizionalmente preoccupata di definire i criteri della democrazia e del rapporto tra individuo e autorità. Chiaro che questo è solo un riferimento, e non il senso, tout court, del cinema di Kubrick.

Ciò che si è impadronito di Jack Torrance è certamente maligno e misterioso, ma è sicuramente altrettanto efficiente di quanto è spaventoso. È una “azienda”, come ripetutamente sostiene Lloyd, il barman: benigna se si obbedisce, ma terribile se ci si insubordina o anche solo se si fanno domande (cfr. ancora i dialoghi fra Torrance e Lloyd). Guarda caso, poi, il viscido Grady ha lo stesso volto di Deltoid, l’altrettanto untuoso e asservito padre di Alex in Arancia meccanica (5).

Kubrick ha trovato pronti nel romanzo i tre “estranei” che non possono essere tollerati da questo ordine: una donna sempliciotta e senza cultura, un bambino dotato di qualità che non possono essere controllate, un nero dotato, anche se solo in parte, delle stesse qualità. Ed è fin troppo chiaro, allora, di cosa veramente abbiano paura Hal 9000 e l’Overlook Hotel: di ciò che non è maschile nè omologato alla cultura maschile, di ciò che c’è di incontrollabile nella fanciullezza, di ciò che non è bianco ed è quasi animale (6).

Non arriviamo però a trovare in Shining una pura e semplice allegoria: piuttosto, il film rigetta tulle queste esche nel buio dell’inconscio (cfr. la lettura psicanalitica che del film viene data in questo stesso numero da Paolo Vecchi e Cesare Secchi) e nei corridoi del labirinto. Osserveremo comunque che mentre Wendy e Danny riescono ad attraversare il labirinto e ad uscirne (Danny addirittura due volte), Jack, nonostante creda di poterne controllare i percorsi (come quando si china sul plastico del labirinto) vi si smarrisce senza scampo. Non solo, ma mentre la trasgressione dell’intelligenza negativa consente a Bowman di percorrere il ciclo vita-morte e concluderlo con la rinascita, Torrance è condannato a ripetere per sempre i sanguinosi riti dell’Overlook Hotel, replicando ogni volta una morte misera e senza riscatto. «Lei è sempre stato il custode qui», gli sussurra Grady in una toilette puro stile Arancia meccanica. E il film termina con l’inquietante scoperta della fotografia del 1921: cosicché sappiamo che gli avatar di Jack Torrance continueranno a popolare per sempre i tetri saloni dell’Overlook.

Una relazione particolare hanno con Shining le fiabe: e non potrebbe essere altrimenti, dato il carattere simbolico (letterario e psicanalitico) del film. Le fiabe vengono: citate – Jack aggredisce Wendy facendo la parte del lupo cattivo; suggerite con una sola immagine perturbante – la maschera-animale che succhia l’uomo in una delle camere; sfruttate nei loro espedienti più classici – la bellissima donna della 237 si trasforma in una strega cadente e ghignante (7), Danny sfugge all’orco/Jack nel bosco/labirinto ritornando sui suoi passi, proprio come fa Pollicino con le briciole di pane per ritrovare la strada di casa. Le fiabe, perciò, costituiscono il linguaggio con cui le ossessioni degli adulti vengono tradotte e rappresentate dalla mente del bambino.

Il carrello finale verso la fotografia del 1921 trova il suo esatto parallelo nella carrellata verso il monolite di 200l. La qualità delle rivelazioni che offrono, però, è diversa: una è proiettata verso il futuro, l’utopia e la maturità; l’altra verso il passato e le radici. Questo pendolo scandisce tutto il cinema di Kubrick (8) e, da qualunque parte batta, getta luce (“shines”) sui dubbi e le fratture della ragione.


(1) In Shining Kubrick usa in modo superlativo la Steadicam, una nuova macchina da presa superammortizzata che permette “macchine a mano” o, generalmente, in movimento con la massima stabilità dell’immagine. Cosicché, in questa prima inquadratura, il tradizionale senso di instabilità delle riprese da aerei o elicotteri si tramuta in un effetto del tutto simile a quelli, ottenuti in laboratorio, della sequenza “psichedelica” di 2001. Kubrick è, come Welles, uno dei pochi registi capaci di innovare la tecnica del linguaggio cinematografico.
(2) La proverbiale, ironica pignoleria di Kubrick gli ha fatto mettere sul cartello d’ingresso della sala da ballo, come nome del locale, «The Unwinding Hours», e cioè: «Le ore che non si svolgono, che non si dipanano».
(3) Si ricordi anche che il “nucleo” del cervello di Hal, pur non presentando corridoi o circonvoluzioni, è completamente privo di qualsiasi riferimento sopra-sotto o avanti-indietro.
(4) Jack Torrance riempie ossessivamente centinaia di pagine con «Il mattino ha l’oro in bocca»; Hal, prima di spegnersi, canta «Giro, giro-tondo».
(5) Entrambi i personaggi sono interpretati da Philip Stone.
(6) Kubrick insiste sulla negritudine e sull’animalità di Halloran. Grady e Torrance parlano spregiativamente di un «negro» (nigger) e, man mano che Halloran si avvicina all’albergo, egli assume una figura sempre più scimmiesca, fino a quando entra nell’Overlook con le gambe arcuate e le braccia ciondoloni. Significativo, quindi, che sia anche l’unico a venire “rimosso”.
(7) Da questo punto di vista val la pena segnalare che, come nelle fiabe, gli specchi sono dotati di poteri rivelatori: è nello specchio che Jack si rende conto della vera natura della donna che sta baciando, ed è sempre lo specchio che trasforma una parola misteriosa e priva di senso come «redrum» nel minaccioso ed esplicito «murder» (omicidio).
(8) Ed è anche il movimento astratto che già regola il meccanismo ad orologeria del primo film di Kubrick, Rapina a mano armata.