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Nel bellissimo Tre donne morali, UFO cinematografico del critico Marcello Garofalo, Ersilia Vallifuoco, ex suora tramutatasi nella gestrice dell’Iride X, napoletano Cineclub a luci rosse, sentenzia: “Non esistono film belli o film brutti. Esistono film utili e film inutili”. 

All’eroica Piera Degli Esposti, cinefila in odor di santità, ho pensato leggendo lo stimolantissimo articolo del Bocchi. Tre donne immorali, apparso in una Festa Romana e poi perso nei labirinti di vetro della Rete, è un “Film Altro”. Ma è anche un film “Utile”, utilissimo. Sposo in toto le parole di Pier Maria (di cui mi considero il Monsieur Opale un po’ rintronato), ma guardo il problema da un altro punto di vista. 

Al di là del discorso inerente il “Cinema da Festival”, dogmatico, vi è un vulnus difficilmente sanabile. Fra la maggior parte degli Araldi della web-critica  esiste la perniciosa tendenza a generare mostri, con l’ingenua convinzione di far del bene a tessere le lodi di tutto ciò che scentrato, scientemente eccentrico. In altre parole: non si può apprezzare la scorticante bellezza di 15 di Royston Tan (nella foto), senza partire dalla ineluttibilità del Male già cantata da Robert Bresson ne Il diavolo…probabilmente (1977). La mancanza di una giusta contestualizzazione fa correre il rischio che ogni lampara lanciata sui Paladini del Cinema Altro si tramuti in uno sterile epifenomeno. 

Si sono appena spente le luci sul Lido di Venezia ed ora è tutto un fiorire di lodevoli peana su Tsai Ming-liang, su Wang Bing, su Alexandros Avranas e cosa resterà fra qualche mese? Resteranno gli scroscianti applausi della critica quotidiana per Philomena di Stephen Frears, che col suo esser beneducato e orgogliosamente vecchio, uccide ogni afflato libertario e realmente Nuovo. E da dove nasce tutto ciò? Nasce dal fatto che noi web-critici mica siamo la Nouvelle Vague che portava in Francia quel grande vecchio di Samuel Fuller e ne faceva un Dio. Siamo solo una nuova forma di “cinefilia”, con l’entusiasmo e l’ingenuità degli adolescenti, con l’abitudine di scordarci  il “grande amore” al passaggio del nuovo bel manzo da spiaggia, peggio della Sandrelli in Io la conoscevo bene.