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Lo scorso anno il Cinema Ritrovato rendeva omaggio a Jean Gabin, stella assoluta del cinema francese. Prima della proiezione di Il commissario Maigret, Bertrand Tavernier ne ricordava l’eclettismo e la capacità di modellarsi davanti alla macchina da presa a seconda che le circostanze lo richiedessero o meno, di parlare attraverso il corpo, che irrompe sulla scena come un’esplosione di energia e forza espressiva definite e quasi inossidabili. Poteva anche non parlare perché spesso erano sguardo e corporatura i correlativi-oggettivi dello stato d’animo del personaggio e delle emozioni che voleva restituire allo spettatore. Come nella sequenza di La ragazza del peccato di Claude Autant-Lara in cui Gabin viene sedotto da Brigitte Bardot e dove, ormai fragilizzato e messo spalle al muro dalla sensualità della donna, ne contempla la figura, immobile e tacito. Non più “virile” né dominatore quando si tratta di avere a che fare con il sesso femminile, come i personaggi maschili di The Male Animal di Elliott Nugent in cui Henry Fonda - volto di una delle tante retrospettive di questa edizione del festival bolgonese -  interpreta il personaggio principale. Gabin e Fonda. Attori dall’impostazione e dallo stile diversi e interpreti di una mascolinità mutevole e mai doma.

Una delle cose che più meraviglia di The Male Animal è proprio la riflessione ante-litteram - siamo nel 1942 - che Nugent fa su una mascolinità tossica e fragile attraverso un accuratissimo lavoro di scrittura di personaggi e sottotrame e un tono spiccatamente comico e insinuandosi negli interstizi e nelle problematiche dei rapporti interpersonali. Turner (Henry Fonda) è un professore di letteratura inglese di mezza età malinconico e oltremodo riflessivo. È sposato con Ellen (Olivia de Havilland). Un vecchio amore della donna, Joe (Jack Carson), lambito appena in gioventù, ricompare. Ostacolato dall’amministrazione universitaria, Turner s’interroga sull’opportunità o meno di leggere in classe una lettera di Bartolomeo Vanzetti mentre Joe sembra ritornare a poco a poco nel cuore di sua moglie. Controversie amorose e continui appelli alla libertà intellettuale per cui il pallido e annoiato Turner sarà costretto ad “alzarsi e combattere”, come ripetono ossessivamente i giocatori della partita di football che fa da sfondo alla vicenda. Alzarsi e combattere. Monito di una virilità senz’altro non incarnata da Turner che ne rifuggirà sdegnoso almeno fino all’esilarante monologo finale, dove tigri, leoni marini ed elefanti diventano il pretesto per parlare di amore e matrimonio. Turner fatica a comprendere i bisogni di Ellen perché concentrato soltanto sul proprio ego e sulla sua autorità intellettuale ed affettiva compromessa. Non c’è spazio per lei né possibilità di accoglierne le esigenze. Perfino la sua "dissertazione alcolica" rappresenta l’ennesimo spazio di ripensamento su di sé e autocompiacimento, nel momento in cui, annebbiato dall’alcol, Turner afferma l’assoluta efficacia della violenza fisica per ristabilire il predominio su un determinato territorio, in questo caso sul focolare domestico. E su sua moglie, ancora una volta nell’ombra.

Tuttavia, The Male Animal è un film d’avanguardia per i tempi proprio perché, nonostante sia tutto costruito intorno alla figura maschile, è come se si servisse dell’adombramento della figura femminile – grazie anche alla splendida interpretazione di Olivia de Havilland – per far emergere contraddizioni e ambiguità di un rapporto uomo donna non equo, tanto più significativo in un periodo storico in cui il femminismo stava muovendo i suoi primi passi.