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Orizzonti di gloria  (Paths of Glory, 1957)

Un’esibizione vista da fuori. Il colonnello Dax è fuori la locanda dove i soldati francesi si stanno divertendo mentre una ragazza tedesca, in lacrime, sta cantando. Cala poi il silenzio. E la melodia è intonata da tutti. Forse la follia della guerra è proprio qui. Fuori dal formicaio o dal castello in cui vengono decise dall’alto tutte le mosse strategiche. Uno sguardo dall’esterno dove lo sguardo di Kirk Douglas sembra doppiare quello di Kubrick. Quasi una crudeltà sternberghiana da L’angelo azzurro che si mescola con l’impeto passionale di Jean Renoir. Dentro quella locanda c’è la guerra e la potenziale tregua. E anche La regola del gioco era un film bellico anche se ambientato in un castello. E la guerra come divisione di classe sembra arrivare da La grande illusione. Tutta la potenza del cinema di Kubrick in un film antimilitarista tratto dal romanzo omonimo di Humphrey Cobb. Con la terra del fronte filmata come se anticipasse lo spazio di 2001. Vissuta come in prima persona. Ancora attraverso il colonnello Dax. Il rumore degli spari sono come amplificati nella sua testa. Ma soprattutto c’è il suo passaggio in mezzo ai bombardamenti. L’inquadratura sembra dividersi in due. C’è la soggettiva dei soldati e del fumo. E l’immagine oggettiva del suo passaggio. Con la sua figura che è scissa in due parti e nella quale, forse, si reincarnerà Jack Torrance in Shining.