"Licks"

Violenza e redenzione a Oakland

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Il giovane “Lil” D. (Stanley Doe Hunt) ha diciannove anni quando fa ritorno a Oakland, California, dopo aver scontato due anni di prigione per una rapina in un drugstore finita male. A differenza dei suoi complici, ha perso tempo nello svignarsela per recuperare l’anello che portava al dito, caduto sotto uno scaffale. Non poteva lasciarlo lì. Si trattava della promessa d’amore della sua ragazza Aliki (Tatiana Monet).

È il primo segno di una “differenza” che, sottotraccia, consente al regista Jonathan Singer-Vine, appena venticinquenne e qui al suo esordio, di mettere a punto un sapiente gioco di forze, di azioni e reazioni, che polarizzano i ruoli dei personaggi. E il mondo che rappresentano.

Rientrato a contatto con gli abitanti del quartiere e con gli amici (molti sono spacciatori e malfattori), sottoposto a libertà vigilata, D. tenterà, tra apatiche ricadute e un progressivo desiderio di riscatto, di imprimere alla propria vita un’altra direzione. Diventare una persona (Daniel) e non più una sigla.

Tre anni di lavorazione, una lunga attività di ricerca con sopralluoghi nel quartiere di Oakland in cui è ambientata la storia, oggetti di scena forniti dagli stessi abitanti, l’utilizzo di attori esordienti. Forse stava pensando a questo Jonathan Singer-Vine quando, intervenuto al Milano Film Festival insieme a parte del cast in occasione della prima europea di Licks (Rapine), ha parlato del suo film come un work in progress, un’esperienza umana e formativa destinata a durare (sul sito ufficiale www.licksmovie.com si cercano ancora donazioni per recuperare parte del budget).

Tra le sue intenzioni, quella di “raccontare soprattutto la cultura dei personaggi”. Per farlo, li ha immersi in un’atmosfera satura di violenza fisica e verbale (non si contano i “nigger”, “fuck”, “pimp”), di predestinazione (D., Mac, Ty, Maalik e gli ragazzi non sembrano avere altro orizzonte che quello del crimine e a poco valgono gli avvertimenti del reverendo), di desolazione urbana (solo qualche panoramica a macchina fissa ci ricorda che oltre il groviglio di strade attorno al quartiere esiste un altro mondo).

Singer-Vine, autore anche del soggetto e co-produttore, maneggia con abilità materiali filmicamente rischiosi, come la violenza giovanile in un ghetto americano, lo squallore degli ambienti della droga e della prostituzione, lo sfascio familiare.

Solo qua e là carica un po’ troppo lo stile – i rallenti, i riferimenti al ritratto di Martin Luther King, qualche incertezza nella parte centrale – ma non è che il risultato, crediamo, di una spontanea e vigorosa urgenza espressiva. Di un talento che promette molto.