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Tarde para la ira di Raul Arévalo

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Non c’è dubbio che i più bravi oggi, in Europa, a fare film d’azione e di tensione, di suspense e di violenza sono gli spagnoli. Se c’era bisogno di una conferma, Tarde para la ira lo è a pieno titolo. Quella che viene raccontata dall’esordio registico dell’attore Raul Arévalo è una vicenda ad un tempo semplicissima (il movente da cui nasce la storia è elementare: occhio per occhio; siamo, in fondo, dalle parti di Cane di paglia: il tranquillo borghese che diventa uno spietato vendicatore di un torto subito) e complessa (tutti i personaggi coinvolti hanno conoscenze parziali delle intenzioni e delle identità degli altri e da qui nasce la capacità della sceneggiatura di creare, malgrado il materiale su cui è costruita sia abusatissimo, svolte che riescono a sorprendere lo spettatore).

Anche l’anno scorso qui a Venezia si era visto un buon film d’azione “made in Spain” (El desconocido di Dani De La Torre, poi uscito anche in sala). Ma in quel caso, l’autore faceva l’errore di voler “nobilitare” l’adrenalina con discorsi sulla crisi economica, la sfiducia e la perdita dei valori fondamentali, discorsi che lo appesantivano di un’inutile zavorra retorica, rendendo meno vere, più artificiose (perché intese a “dimostrare” qualcosa) le relazioni tra i personaggi. Niente di tutto ciò accade nel film di Arévalo, che invece punta all’essenziale e sviluppa una narrazione senza fronzoli. La storia si situa in un contesto quotidiano, di normali relazioni famigliari, rappresentate in modo fondamentalmente realistico. Questo uso “realistico” dell’ambiente e dei dialoghi (le chiacchiere da bar, la banale volgarità domestica di una festa della comunione, ecc.) è la caratteristica distintiva del film: grazie a questo, pur trattandosi di un’applicazione di schemi di genere di matrice americana, il risultato finisce per avere un carattere inconfondibilmente spagnolo. Ed è proprio la capacità di calare nel contesto nazionale (nei suoi conflitti latenti e/o nelle sue abitudini quotidiane) gli elementi del “genere” ciò che rende interessanti i film d’azione e di tensione prodotti in Spagna – penso, per dire un paio di titoli, a La isla mínima (2014) di Alberto Rodríguez o al thriller carcerario Cella 211 (2009) di Daniel Monzón.
La capacità di inserire l’elemento umoristico-grottesco come contrappunto alla tensione, e talvolta come suo amplificatore, è l’altra qualità del film. Non si tratta di un’applicazione scolastica (perché, dopo Tarantino, è d’obbligo farlo), ma di un espediente narrativo dosato con intelligente parsimonia. Quando un personaggio è impegnato in discorsi stupidamente insignificanti e lo spettatore sa che dentro un altro dei personaggi in scena è imminente uno scoppio di violenza, si crea uno stato di attesa che, se ben orchestrato, può rivelarsi molto efficace.

La scena nei locali sotterranei della palestra è da questo punto di vista particolarmente riuscita: anche qui la suspense nasce dalla parzialità delle conoscenze dei personaggi in gioco. Il padrone di casa non sa nulla delle intenzioni degli altri due, l’ex complice sa del desiderio di vendetta del suo accompagnatore ma non ha idea di come voglia metterlo in atto, e anche quest’ultimo, coinvolto in una situazione per lui assolutamente nuova, è probabile non sappia ancora cosa fare veramente.