Orizzonti

Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone​

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Da sempre l’essere umano è in cerca della felicità. Forse è davvero l’unico desiderio che mette in moto le nostre giornate, le nostre vite. C’è chi non se ne cura, chi ne ha troppa e quindi si stanca, chi la sfiora ma non la raggiunge, chi non sa nemmeno cosa sia e chi l’ha perduta. Ha preso forme molto diverse nel corso delle epoche ed è un oggetto tanto misterioso quanto variabile: si adegua ai tempi. Oggi per alcuni consiste in una stabilità economica, per (molti) altri invece è una questione di sopravvivenza e di speranza in un futuro migliore. E se effettivamente tutti la cercano e pochi la trovano, buona parte di noi si impegna a definirla, studiarla e conoscerla meglio per poi afferrarla.

Alessandro Rak e il suo team di animatori, già quattro anni fa si erano messi al lavoro per provare a disegnarla, la felicità (con il film L’arte della felicità, per l’appunto), ma è con il loro ultimo lavoro che riescono effettivamente a comporre sull’argomento un affresco compatto e intelligente

Gatta Cerentola prende chiaramente le mosse dalla classica favola di Giambattista Basile riproponendola nei suoi caratteri più distinguibili (la scarpetta, la matrigna, le sorellastre) ma ambientandola in una Napoli cupa e surreale, una città disillusa dalla malavita che serpeggia ovunque e nello specifico del racconto dall’omicidio di un magnate dall’animo nobile che sognava di ridarle nuova vita.

In questo teatro sudicio e tenebroso, si intrecciano storie di mafiosi, di prostitute, effemminati e assassini: una cornice tutt’altro che fiabesca o infantile, dai tratti invece futuristici e sinistri (il film è ambientato quasi interamente all’interno di una nave iper-tecnologizzata) che non teme di mostrare la propria bellezza decadente, tra scenari arieggiati, atmosfere da anime e i toni leggiadri dell’estetica color pastello.

Il film dà vita a personaggi sciupati e stanchi, ormai privi della speranza infantile che un tempo apparteneva loro, disillusi da un mondo (prima ancora che da una città) in cui l’unica via possibile per rimanere a galla sembra quella di sporcarsi le mani. Una stasi estenuante e imponente (simboleggiata dalla grande nave ancorata al porto), figlia di un passato florido oggi ricordato solamente come occasione sprecata.

Per evitare il collasso, per tornare a sperare di essere felici, occorre rivolgersi proprio a quel passato glorioso e dimenticato. Come l’orfana adolescente Cenerentola, che nel corso del film si oppone al destino ingiusto che l’aspetta, aiutata dall’ologramma del suo defunto papà. Gli adulti, avari e meschini, non possono far altro che lasciare spazio ai giovani sognatori, accompagnandoli nel loro percorso e spronandoli a dialogare con la memoria e così restare in qualche modo per sempre bambini. Questa, forse, è l’alternativa al caos del mondo futuro, questa l’ipotesi di felicità di cui oggi c’è bisogno.

Banale, forse. O piuttosto, facile a dirsi e difficile a farsi. Ma i film d’animazione, anche quando concepiti e realizzati soprattutto per gli adulti, come questo Gatta Cenerentola, hanno dalla loro la forza della semplicità morale; la chiarezza della favola che si adatta alla realtà delle cose.