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Atlantide di Yuri Ancarani

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Daniele vuole essere il più veloce. La sua unica ambizione è sfrecciare con il motoscafo più spedito degli altri tra i canali della laguna di Venezia. Nella sua quotidianità non c’è altro: una religione incentrata sul culto delle imbarcazioni, della velocità e della classifica dei barchini più potenti. Eppure intorno a lui c’è una realtà assolutamente immobile e, come suggerisce il titolo del film, apparentemente sommersa.

Atlantide di Yuri Ancarani è infatti il ritratto di un mondo cristallizzato nel tempo e di una generazione di ragazzi abbandonata a sé stessa, emarginata da un contesto che non è in grado di offrire né un presente né tantomeno un futuro.

Ancarani segue i suoi personaggi durante giornate fatte di niente, in un reiterato contrasto tra la ricerca di emozioni forti e un vuoto esistenziale che annulla ogni azione. Con una regia ricercata ed elegante, senza sceneggiatura, con dialoghi rubati dalla vita reale e una storia sviluppata lungo quattro anni porta sullo schermo un mondo lontanissimo dalle abitudini del cinema italiano.

Nel raccontare una periferia aliena e alienante, Atlantide diventa il resoconto di un progressivo inabissamento di ogni possibile cambiamento o prospettiva di vita. I ragazzi della laguna si aggirano come spettri lungo i paesaggi senza tempo di una città fantasma. Ogni loro sogno poggia le basi su un terreno talmente farraginoso da sprofondare negli abissi, incanalandosi in derive violente e autodistruttive. Daniele e gli altri personaggi del film affogano le ambizioni in una ritualità fine a sé stessa, incapaci di spingersi verso qualcosa di realmente nuovo e diverso. Ecco il desiderio di essere il più veloce della laguna, privato della spinta emotiva, trasforma il protagonista nel pesce di un acquario, destinato a “nuotare” per tutta la vita in uno spazio limitato e limitante.

Forse il tratto più affascinante e insieme disperato dell’opera di Ancarani è la costante sensazione d'ineluttabilità, l’inconsapevolezza e la noncuranza con cui i personaggi si pongono nei confronti del mondo e della vita trasmette una sensazione di totale impotenza. Il film racconta una situazione alla deriva, un impatto con l’iceberg ormai avvenuto, senza possibilità di salvataggio. Atlantide trascina lo spettatore in un viaggio nel tempo psichedelico e disincantato. La macchina da presa si inclina di 45 gradi, distorcendo sotto i nostri occhi una realtà finora immobile e trasformando le arcate dei ponti in portali dimensionali, pronti a trasportarci all’origine (o alla fine) di tutto.