Giornate degli Autori

Shen kong di Chen Guan

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Due giovani amanti girovagano in una metropoli imbalsamata dalla pandemia e dal lockdown; in apertura, una voce fuoricampo augura a chi ascolta un anno del topo ricco di salute gioia e serenità. È dunque una profezia amaramente errata a inaugurare il sorprendente Shen Kong, presentato alle Giornate Degli Autori. A dispetto delle apparenze, però, l’opera prima di Chen Guan non è un film sul COVID, almeno non esclusivamente. Quello della pandemia è un prodromo necessario ma esorcizzato e quasi parodizzato dai due giovani protagonisti del film.

Li You e Xiao Xiao sono figure bambinesche, scostanti e lunatiche, mosse nelle loro azioni impulsive da uno slancio verso l’esperienza – il sentire il freddo melmoso di un fiume notturno o il fuoco di una brace accesa per scaldarsi. La loro relazione amorosa nasce senza corteggiamento, tramite un’esplorazione vicendevole dell’altro e dello spazio circostante. Insieme i due amanti casuali violano i divieti, le transenne, i percorsi netti, retti e precostituiti dell’urbanistica, ricordando la flanerie di molta Nouvelle Vague ma anche il girovagare annoiato dei protagonisti di Harmony Korine.

La macchina da presa del giovane regista li pedina durante i loro pellegrinaggi ludici e annoiati, ora ingabbiandoli in reframe interni, texture metalliche e urbane, ora spiandoli da lontano, con inquadrature dall’alto, campi lunghi e semipanoramiche spezzate. La stessa regia audace sembra desiderare e sperimentale le prospettive più diverse e sghembe, senza paura di immergersi nell’azione, di seguire la storia che racconta, fino a soggettivare lo sguardo dei due giovani in chiave sempre più espressionista.

Chen Guan riunisce stili diversi, sconnessi, ammiccando all’immaginario della video-sorveglianza, al voyeurismo da remoto, rendendo così in forma di immagine la sensazione di sospensione e costrizione peculiare del lockdown.

Oltre a questo rapporto speculare tra il dinamismo isterico dei protagonisti e l’audacia espressiva della regia, ciò che fa di Shen Kong un’opera interessante è il modo in cui mostra i due protagonisti sconnessi dal loro stesso ambiente, in continua ricerca di un desiderio immediato, quasi animalesco, eppure chiusi in un orizzonte limitato e spinti verso un futuro sconosciuto.

Shen Kong parla della paura di ciò verrà dopo la pandemia. È un romanzo di formazione negato, in cui niente trasforma o fa crescere, in cui ogni giorno è uguale al precedente e ogni esperienza lascia i protagonisti orfani e annoiati. La rabbia e dolore esplodono senza preavviso, mai interiorizzati o elaborati, mentre la gioia della scoperta passa senza lasciare segni. Non è un caso che i due interpreti, Wei Ruguang e Deng Keyu, evadano costantemente dal centro dell’inquadratura, lasciando le immagini in balia del vuoto della città.

Solo così, Chen Guan risce nell’intento di rappresentare uno stato d’animo attuale, e cioè la sensazione di non appartenere a qualcosa o qualcuno (una famiglia, un progetto di vita, un’inquadratura) con il suo racconto sincero e crudo di un’evasione impedita, divisa tra il desiderio di essere altrove e quello di intrecciarsi all’altro, per il resto del giorno oppure della vita intera.