Concorso

Kobieta z... di Małgorzata Szumowska e Michał Englert

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Kobieta z... ovvero La donna di… : fin dal titolo il nuovo film di Małgorzata Szumowska e Michał Englert vuole richiamare la tradizione del cinema polacco, quella de L’uomo di marmo o de L’uomo di ferro di Andrzej Wajda, che è stato il maestro di entrambi; e però quei puntini di sospensione sembrano rinviare almeno a un altro titolo, La noire de… di Ousmane Sembène, e con esso alla reticenza, al pregiudizio che in quel caso come in questo accompagna il complemento di specificazione articolato al sostantivo femminile. Di cosa è la donna di Szumowska e Englert? Da quali sguardi e da che qualità personali è determinata Aniela Wesoły, donna trans, nata alla fine degli anni ’60 in uno stato che a tutt’oggi è il Paese più omofobo e transfobico dell'Unione Europea? La Polonia è l’unico stato UE a non avere una legge sull'identità di genere e a non riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso; uno stato che priva le persone LGBTQ del diritto di partecipare pienamente alla vita sociale, una condizione che si riflette nei traumi che i giovani riportano e nella percentuale di suicidi e tentati suicidi.

Anche Andrzej (Mateusz Wieclawek), non ancora Aniela, che alla visita militare non ha voluto togliere i calzini per non mostrare lo smalto alle unghie dei piedi, subito dopo tenta il suicidio da un ponte. Contrariamente ad altri coscritti, che quelle cose le facevano per non andare soldato, lui a quello smalto ci tiene. Sceglie comunque di andare avanti, di rinunciare a togliersi la vita, e incontra Iza (Bogumila Bajor), che sarà l’amore della sua vita. È un colpo di fulmine, è un idillio istantaneo, letteralmente e visivamente, almeno finché dopo la nascita del loro primo figlio, in casa vengono introdotti degli ormoni, che servono alla giovane madre per riprendersi dopo il parto, ma che risvegliano nel padre la tentazione di dissotterrare l’identità sessuale troppo a lungo repressa: Andrzej vuole essere Aniela, ma la strada è in salita, molto in salita. La sua lunga marcia di transizione procede parallelamente alla difficile conversione della Polonia dal comunismo al capitalismo, vista dalla prospettiva “laterale” di una città di provincia, dove paradossalmente una cappella lungo una delle strade principali accoglie Wilgefortis, la ragazza barbuta e crocifissa, venerata come santa in molte città europee, almeno fino al 1969, quando il culto fu proibito dalla chiesa cattolica, che si era evidentemente accorta delle radici pagane di questa storia di ermafroditismo connesso alla religione. Il percorso di Aniela alla ricerca della libertà personale come donna trans, oltre confrontarsi con una medicina che si adegua con difficoltà al riconoscimento delle identità trans, rivela le ovvie complicazioni che nascono dal desiderio di mantenere comunque in vita il matrimonio e a gestire il rapporto speciale con i figli; figli che si riveleranno più comprensivi degli adulti, parenti e colleghi di lavoro, soprattutto degli anziani genitori che, fino all’ultimo continueranno a chiamare Aniela con il dead name.

Nell’impossibilità di scritturare un’attrice polacca e trans per il ruolo di Aniela negli anni della maturità, un personaggio che si spegne, si asciuga per rifiorire, la scelta di Szumowska e Englert è caduta su Małgorzata Hajewska, che ha già collaborato a altri tre progetti della coppia, e che enfatizzando gli aspetti pià androgini dei propri lineamenti marcati, si cala completamente nella parte. La trasformazione è un gioco virtuoso di specchi, e serve anche a segnare uno snodo nello scorrere del tempo, in un film che è strutturato in maniera non lineare. Il virtuosismo dipende anche dal controllo sulla fotografia esercitato direttamente da Englert, in questo passaggio, come anche nelle scene d’amore tra Andrzej e Iza giovani, dove cerca esplicitamente la luce, il calore e il colore dei maestri degli anni ’70, senza dimenticare la profondità di campo, che spesso articola la dimensione sociale della vicenda, mette in dialogo il disagio di Aniela con quello che succede nel mondo esterno. Piccoli cambiamenti nelle strade, striscioni di Solidarność, e, spesso, ragazzini e ragazzine che giocano o se le danno di santa ragione, o, in controcampo, i colleghi di lavoro, le suore che salutano la donna da dietro le finestre, magari giudicandola, senza aver davvero compreso il suo travaglio.

Difficile non pensare, tra i precedenti di Kobieta z..., a Laurence Anyways di Xavier Dolan, vedendo la parabola di Aniela e il suo sforzo per rimanere legata alla donna della sua vita (interpretata per gli anni della maturità da Joanna Kulig, sempre bravissima), e però la Polonia non è il Canada, e, soprattutto non c’è nulla di pop o fighetto nel film di Szumowska e Englert (a eccezione, forse della musica di JIMEK), e il lavoro sull’immagine che dicevamo è subordinato all’idea di rendere accessibile e in qualche misura connessa con una tradizione cinematografica precisa il racconto di una donna trans che non è un’intellettuale à la page come Laurence, ma una persona semplice, un’impiegata del comune a cui il sistema gira costantemente le spalle, chiude le porte in faccia, e che deve lottare letteralmente per la sopravvivenza. Una donna del… popolo, di un popolo che nel proprio Paese non ha voce, o almeno non l’ha avuta fino ad ora.