Sou Abadi

Due sotto il burqa

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Il cinema francese non è nuovo alla commedia di estrazione sociale. È indubbio, però, come in questi ultimi anni, dal ceppo più autoctono di cui Giù al nord (2008) è illustre rappresentante, sia passato a dar voce a quella pluralità etnica che in fin dei conti caratterizza la vera anima nazionale della Francia; e che, in tempi in cui xenofobia, attacchi terroristici, accoglienza, guerra preventiva e problemi legate all’integrazione sono all’ordine del giorno, sempre più sta emergendo come elemento endemico di un contesto urbano sfaccettato e multiculturale. Il passaggio è stato graduale, ma rapido. Dalla hit di Dany Boon si è passati ai matrimoni interraziali di Non sposate le mie figlie! (2014), fino ad arrivare – oggi – a Due sotto il burqa.

Il film di Sou Abadi, documentarista alla sua prima esperienza con la fiction, ha il pregio non solo di trattare lo spinoso tema dell’integralismo religioso con toni leggeri e un impianto perfettamente congegnato da commedia degli equivoci (i riferimenti a Qualcuno piace caldo, per stessa ammissione della cineasta, sono lampanti), ma di dare voce a un punto di vista meno scontato sull’argomento. La Abadi, infatti, è nata e vissuta in Iran, e solo dal 1998 è diventata cittadina francese.

Due sotto il burqa, allora, non è una parodia del fondamentalismo islamico viziata dai luoghi comuni che un approccio occidentale avrebbe potuto veicolare, o comunque – visto che parlare a tutti è importante e si riesce a farlo meglio se si adotta un linguaggio diretto e popolare – non rischia di essere solo questo. Ciò che lo rende più interessante, e a tratti molto divertente, è la peculiare raffinatezza dissacratoria offerta dalla posizione privilegiata di cui gode la regista, donna progressista, nata nel 1968, evidentemente figlia del movimento femminista-comunista del ’79, e quindi cresciuta durante la rivoluzione khomeinista. Non è un caso che il personaggio più riuscito e meno convenzionale di Due sotto il burqa sia quello di Mitra (Anne Alvaro), la madre iraniana del protagonista, fervente femminista anti-islamica non priva di contraddizioni (dà da mangiare arrosto di maiale al figlio, ma vorrebbe per lui un matrimonio combinato), che ha nel marito tassista (il serbo Miki Manojlovic, volto frequente del cinema di Kusturica) un complice e un partner perfetti.

La ragnatela di equivoci tessuta dalla Abadi gioca con gli stereotipi culturali, sessuali e religiosi, creando una struttura dove Islam radicale, emancipazione femminile e ateismo interagiscono, creando situazioni esilaranti. Tutto muove dall’uso improprio del niqab, a seconda dei personaggi inteso come strumento di devozione e al contempo di attrazione (per il fratello radicalizzato dal viaggio in Yemen), di costrizione e sottomissione (per Mitra, suo marito e la società occidentale), e di camouflage (per Armand e Leila, i due amanti protagonisti del film). Ed è proprio in questo senso che, al di là dell’apparente leggerezza, a Due sotto il burqa va riconosciuto un certo valore civile, anarchico e sottilmente irriverente. 

Due sotto il burqa
Francia, 2017, 88'
Titolo originale:
Cherchez la femme
Regia:
Sou Abadi
Sceneggiatura:
Sou Abadi
Fotografia:
Yves Angelo
Montaggio:
Virginie Bruant
Musica:
Jérôme Rebotier
Cast:
Anne Alvaro, Camélia Jordana, Carl Malapa, Félix Moati, Predrag Miki Manojlovic, William Lebghil
Produzione:
France 2 Cinéma, Mars Films, The Film
Distribuzione:
I Wonder Pictures

Armand e Leila stanno pianificando di volare insieme a New York, ma pochi giorni prima della partenza, Mahmoud, fratello di Leila, fa il suo ritorno da un lungo soggiorno in Yemen, un'esperienza che lo ha cambiato... radicalmente. Ma Armand non ci sta e pur di liberare l'amata escogita un piano folle: indossare un niqab e spacciarsi per donna. Quello che Armand non si aspetta è che la sua recita possa essere sin troppo convincente, al punto da attirargli le attenzioni amorose dello stesso Mahmoud.

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