Gabriele Muccino

Gli anni più belli

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In C’eravamo tanto amati la Storia travolgeva i destini individuali. I personaggi di Scola, Age e Scarpelli, da protagonisti del proprio tempo, diventavano sudditi del sistema, sia cedendo sotto i suoi colpi, sia cavalcandone le spinte più fameliche. La malinconia del tempo che passava, dei capelli che ingrigivano, delle emozioni che si stemperavano nasceva dall’idea di perdita - di un’amicizia, di un insieme di valori, di un ruolo attivo nella società. C’eravamo tanto amati è oggi un modello di racconto corale e generazionale, in qualche modo opposto a quello di La meglio gioventù, in cui i personaggi approfittavano della Storia e ne diventavano partecipi fiduciosi.

Muccino usa il film di Scola come una forma simbolica, una storia predefinita e nota a tutti: tre amici, tre percorsi incrociati e paralleli, tre, quattro decenni. In Gli anni più belli, però, il tempo non è sostanza, non è sconfitta individuale e generazionale, non è Storia che non si ferma davanti a un portone: è semplice ellissi narrativa, al massimo un’immagine alla tv. Il muro di Berlino, Di Pietro, l’11 settembre. A un certo punto, e in maniera un po’ più approfondita (forse perché gli autori hanno pensato che il pubblico si ricorda soprattutto le cose successe non più di dieci anni fa), viene affrontato l’arrivo dei grillini – chiamati «Movimento del cambiamento» e con sei stelle invece di cinque – salvo sparire nella scena successiva.

Paolo, Giulio, Riccardo e Gemma, i protagonisti di Gli anni più belli, romani di estrazione sociale e personalità diverse, non hanno un’appartenenza politica, un’idea o men che meno un’ideologia a cui appartenere: hanno dei sogni generici a cui aggrapparsi, delle aspirazioni lavorative, dei ricordi e dei patti su cui fare affidamento. È probabilmente un segno dei nostri tempi (non proprio i più belli, viene da dire) deresponsabilizzati e deresponsabilizzanti: ma proprio la mancanza alle spalle dei personaggi di una collettività, di una comunità di idee e di modelli di vita, ne segna l'inevitabile superficialità. Come di eroi di un’epopea in minore.

La stessa costruzione narrativa del film, che racconta l’adolescenza condivisa dei quattro protagonisti e poi i singoli percorsi distinti, scegliendo a turno di focalizzarsi su un personaggio, usa il puntuale ritrovarsi degli amici – nel frattempo cambiati e invecchiati – come unico metro di misura del tempo. Le ellissi narrative e gli stacchi di montaggio non rendono conto di mutamenti epocali, non colgono lo spirito dei tempi: i personaggi, crescono ed evolvono, ma solamente in funzione del racconto delle loro vite, senza mai diventare figure universali.

Il mondo di riferimento di Gli anni più belli non è l’Italia dagli anni ’80 in poi, ma direttamente il film di Scola: è questa la sua Storia. Rossi Stuart che rifà il personaggio di Satta Flores (e in parte quello di Manfredi), Favino quello di Gassman, Santamaria quello du Manfredi (e in parte di  Satta Flores) e Micaela Ramazzoti quello della Sandrelli sono figure sovrapposte, dei calchi più che delle filiazioni.

Muccino lavora alla sua maniera, a tratti azzecca anche qualche bella scena (l'incontro alla stazione fra Favino e Santamaria, quello in tram tra Ross Stuart e Ramazzotti...), ma così facendo il film non è altro che un esercizio di facile retorica cinematografica, un capriccio d’autore mascherato da bilancio generazionale.

Gli anni più belli
Italia, 2020, 129'
Regia:
Gabriele Muccino
Sceneggiatura:
Gabriele Muccino, Paolo Costella
Fotografia:
Eloi Molí
Montaggio:
Claudio Di Mauro
Musica:
Nicola Piovani
Cast:
Claudio Santamaria, Emma Marrone, Kim Rossi Stuart, Micaela Ramazzotti, Nicoletta Romanoff, Pierfrancesco Favino
Produzione:
3 Marys Entertainment, Lotus Production, Rai CInema
Distribuzione:
01 Distribution

Giulio, Gemma, Paolo e Riccardo sono fratelli e amici fin dall'adolescenza. Nell'arco di 40 anni vengono raccontate le loro aspirazioni, i successi e i fallimenti, raccontando anche i cambiamenti dell'Italia e degli italiani.

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