Natale con i tuoi (batterie non incluse)

Gremlins

archives top image

Ogni anno, fra i vari riti laico-consumistici del Natale (cenoni, rimpatriate, luminarie, baci sotto il vischio, maglioni dai più improbabili disegni a tema, e altra cianfrusaglia assortita) c’è anche il film da guardare in famiglia. Non ci riferiamo ai blockbuster natalizi americani (che a ben guardare, potrebbero andar bene anche in altre stagioni) né ai nostrani cinepanettoni (che a eccederne appena un po’, possono risultare oltremodo indigesti), ma a quei classici che passano regolarmente nei palinsesti televisivi, e che non bisogna assolutamente mancare di rivedere. Film bellissimi, intendiamoci, fra i capolavori dei rispettivi autori, che si riguardano sempre con piacere. Fino a poco tempo fa, in prima posizione si trovava sempre La vita è meravigliosa (1946) di Frank Capra, scalzato in tempi più recenti da Una poltrona per due (1983) di John Landis. È curioso notare che poi, nelle serate che volgono verso la Dodicesima notte, càpiti sempre più spesso di imbattersi nella Trilogia del Padrino di Francis Ford Coppola Un film meno gettonato, ma che merita senz’altro di essere riscoperto in queste Sante Serate, è Gremlins (1984) di Joe Dante. Riproponiamo la scheda di Emanuela Martini, che ne ha scritto su «Cineforum» n. 241, gennaio 1985. Oh oh oh, Buon Natale a tutti!


L’altra faccia di E. T.

Gli occhi di E.T., le orecchie di Joda, il muso di un pechinese addolcito (ma in alcuni di loro la grinta e i denti aguzzi sono del pechinese più feroce), il corpo rassicurante dell’orsacchiotto. È la “creatura” della stagione cinematografica 1984-85, Gizmo, un mogwai, familiarmente e ormai comunemente chiamato Gremlin. In realtà, il singolare “gremlin” definisce in inglese uno spiritello maligno, quello che sconvolge le abitazioni e le abitudini umane con i suoi innumerevoli dispetti e, in mitologie più recenti, quello che disturbava con conseguenze irreparabili i piloti alleati durante la Seconda guerra mondiale. Il mogwai Gizmo è la faccia buona del gremlin Stripe; lo genera, ma non lo segue (volontariamente, rifiutando il cibo notturno) nella mutazione; lo distrugge, ma può sempre generare altri piccoli mostri. Gremlins è dunque prima di tutto una favola classica sul bene e sul male, che, dopo aver letto Freud e Propp, si limita modernamente a riunire all’interno del medesimo involucro fisico le due facce manicheamente contrapposte. Perché no? Persino il western (favola statunitense per eccellenza) negli anni della rivisitazione è stato sottoposto alla medesima operazione problematizzante; perché quindi non dovrebbe accadere lo stesso alla favola più o meno fantascientifica?

Ecco dunque che l’universo favolistico cinematografico più tipico (quello disneyano naturalmente), riprodotto dal vero nell’accecante falsità dei suoi colori (e perciò tanto più vistosamente falso di un disegno animato), si adombra di oscure percezioni. Il piccolo eroe antropomorfo (da Mickey Mouse a tutti i suoi successori) è la mamma naturale e involontaria dei mostri; è un mostro, e non solo potenziale, dal momento che per trasformarsi gli è sufficiente calmare la fame dopo mezzanotte. Ma il piccolo mostro Gizmo, antieroe nevroticamente scisso, non è solo un pronipote di Mickey Mouse, come il villaggio suburbano non è solo disneyano, ma principalmente spielberghiano; Gizmo è E.T., nelle sue componenti più misteriose e irrisolte, nel lato oscuro e “diverso” che E.T. celava nella propria avventura terrestre. Solo per un attimo, durante la sbronza parapsicologica che si trasmetteva da E.T. a Elliot, avevamo la percezione degli effetti disastrosi che una simile presenza avrebbe potuto scatenare tra gli umani; ed era un attimo giocoso e ancora sostanzialmente “umanitario”. I gremlins hanno semplicemente perduto il tranquillo umanismo di E.T., o forse, essendo di questa terra, hanno perduto il suo sereno e distaccato senso di superiorità galattica. Come non l’ha mai avuto il modello primario di E.T., Peter Pan, umano tra gli umani, destinato per scelta a non crescere mai, che degli umani adulti istintivamente non si fida, facendone costante bersaglio di scherzi e dispetti. Il gioco che si trasforma in difesa, e viceversa, in un impulsivo moto di sopravvivenza del proprio io.

Dalle creature favolistiche ai bambini il passo è breve; nel terreno fantastico l’identificazione è spesso totale. I gremlins (Gizmo compreso) sono palesemente in una stagione infantile: nascono, frignano, giocano e mangiano smodatamente, parlottano senza sosta, sono rumorosi, dolci, fastidiosi, creativi. Ecco allora che, oltre all’ambiguità di E.T., Gremlins immette nel gioco la duplicità e l’inquietante presenza di tutti i bambini spielberghiani, carini e pericolosi nell’intelligenza lucida che brilla nel loro sguardo, piccoli mostri medianici dell’era elettronica, istintivamente capaci di salti logici e psichici a noi sconosciuti, incapaci forse un giorno di dominare le loro potenzialità distruttive nei confronti di tante mamme ristabilitrici di ordine. Spielberg sembra esitare costantemente davanti a un proprio film “nero” e disvelante; mantiene sempre le opere che firma in prima persona sul filo della rivelazione inquietante e sembra nascondere i lati più oscuri e categorici dietro firme altrui. È accaduto con Poltergeist e accade ora con Gremlins.

Il connubio con Joe Dante è di gran lunga più armonico di quello con Tobe Hooper. Qui si ha davvero l’impressione che produttore e regista lavorino sulla stessa lunghezza d’onda: identici riferimenti mitici, stessa impostazione cromatica e visiva, stessa noncuranza ironica e distruttiva, stesso incontrollabile fastidio nei confronti della massa indifferenziata (sia essa pubblico, villeggianti, spettatori, abitanti di un luogo). Le invenzioni e le piccole cattiverie di marca spielberghiana sono orchestrate e filtrate dal linguaggio cinematografico molto pulito di Joe Dante. Dante non eccede mai, non calca mai (a differenza dello stesso Spielberg) la mano sulla suggestione; i suoi effetti sono appena accennati (come il leggerissimo rallentamento dell’immagine che chiude la sequenza introduttiva nel quartiere cinese, quasi un fissaggio nella memoria, o un impercettibile passaggio in una finzione chiusa in se stessa), la commozione più mediata, le sequenze più semplici.

Dante sembra possedere l’istintiva capacità di mettere insieme un racconto per immagini immediatamente e universalmente fruibile sul piano del plot (come gli hollywoodiani classici), i cui molteplici sottostanti livelli di lettura non intaccano la progressione lineare e instancabile della narrazione. A differenza di Poltergeist, nel quale, per quanto fossero perfettamente identificabili gli apporti “teorici” dei due autori, non si distinguevano con altrettanta chiarezza i rispettivi apporti registici, Gremlins non è un film di Spielberg, per quanto sia da lui pensato, voluto e influenzato. Spielberg ne è se mai l’anima neraGremlins è piuttosto un film di Joe Dante su Spielberg, un ironico, affettuoso, inquietante ritratto delle sue costanti inespresse, dei suoi tic autoriali, delle zone d’ombra, delle paure e, probabilmente, della sua sconsolata e inappagata presunzione (Spielberg appare tra gli inventori al convegno; ma più ancora, forse, si identifica con il padre narratore, vero bambino della famiglia, sognatore a oltranza e artefice inconsapevole del disastro). È l’omaggio di un allievo (in fondo, Piranha altro non era se non un cormaniano Squalo dei poveri) che con rara intelligenza è riuscito ad identificare e isolare tutti gli elementi del repertorio spielberghiano.

L’altra faccia di Mr. Smith

Il primo’ di questi elementi, o quanto meno quello più vistosamente esibito come tratto unificante tutta la narrazione, è ovviamente di ordine cinematografico. È il rimando preciso e continuato a due nomi: Walt Disney e Frank Capra. Un film di Frank Capra realizzato negli scenari e con le creature di Walt Disney. Di Disney ci sono il gusto per l’antropomorfismo, l’effetto neve che, ricoprendo il paese, gli conferisce lo scontornamento netto del disegno, l’incredibile cielo stellato nel quale Gizmo e il suo vecchio padrone cinese si allontanano alla fine, il cane e il maggiolino Volkswagen di Billy Peltzer, un’eroina che assomiglia a una moderna Biancaneve e l’irresistibile omaggio esplicito, dove la sequenza e il coro della miniera di Biancaneve e i sette nani hanno il potere di catalizzare l’attenzione di una platea di gremlins scatenati (e per ribadire la loro infantilità basta vederli comportarsi al cinema come una scolaresca incontrollata) esattamente come quarant’anni fa Paperino catalizzava una platea di detenuti in l dimenticati di Preston Sturges.

Se i riferimenti a Disney sono di carattere essenzialmente compositivo e impressionistico (in quanto artefice dell’immaginario visivo di parecchie generazioni infantili), quelli a Capra sono decisamente sostanziali: Capra non è solo omaggiato e richiamato, ma è piuttosto il filo conduttore del film. Billy è il James Stewart di La vita è meravigliosa, la sua famiglia sbilenca, confusionaria e inguaribilmente ottimista è la tipica famiglia capriana, Mrs. Deagle è il ricco senza cuore di tutti i film di Capra (e qui la strizzata d’occhio è esplicita, visto che uno dei ritratti dei suoi antenati esposti lungo la scala, quello che si sposta quando Mrs. Deagle viene lanciata all’indietro dalle diavolerie dei gremlins, è la fotografia di Edward Arnold, uno dei cattivi preferiti di Capra). Sono di Capra la miriade di caratterizzazioni collaterali che animano il paese, i buoni sentimenti a oltranza di Billy e Kate, l’insistenza sull’ambientazione natalizia, gli spezzoni didattici presentati durante la lezione di scienze.

Come di Walt Disney viene rappresentata la non implicita predilezione per la mostruosità più truce, di Capra viene annullato, pur nel contesto della favola, il tono unanimemente pacificante. Nel paese di Joe Dante il cattivo non ha una clamorosa conversione finale, la scienza non offre alcuna spiegazione, molti dei personaggi minori vengono uccisi o mutilati dai gremlins (tranne il bambino che li combatte con le loro stesse, le sue armi), il corpo di polizia si dimostra, oltre che inetto, vigliacco, la madre di famiglia rivela una carica distruttiva agghiacciante. Evidentemente, è entrata in gioco la mediazione del favolista contemporaneo, Spielberg appunto, che nel villaggio, isola felice di Capra, ha sempre visto una fossa sommersa di inguaribili orrori. Gli orrori quotidiani, la cui esplosione è soltanto sollecitata dall’ intrusione dell’elemento estraneo e disturbante. Uno dei passi più sottili di ironico ribaltamento del film è il racconto di Kate a Billy del motivo per cui odia il Natale. Il momento riflessivo del cinema classico, la storia di vita strappalacrime, riesce a trasformarsi in una clamorosa irrisione pur mantenendo del tutto inalterato (e qui risalta ancora l’intelligenza registica di Joe Dante) lo sviluppo interno della sequenza, gli effetti, le pause, gli avvicinamenti al personaggio. Senza che venga sollecitata alcuna reazione comica nel corso della scena, il padre di famiglia che, travestito da Babbo Natale, rimane ucciso incastrato nella cappa del camino finché non comincia a puzzare resta nella memoria come vero e proprio simbolo della stupidità dell’America media. Anche se il tratto del racconto non è di Spielberg (molto più oscuro, pudico e tormentoso per tutto quanto riguarda la famiglia), è indubbia l’indispensabilità delle sue rielaborazioni immaginarie per arrivare a questo grado di inespresso ribaltamento.

Ecco allora, a completare il quadro, le altre citazioni, da Spielberg e da tutti i suoi orrori immaginari: E.T. sempre, e due volte “in persona” («Telefono casa» e il suo pupazzo ribaltato da Stripe), la camera dei giochi ai piani alti della villetta, Indiana Jones nel manifesto di Rockin’ Ricky Rialto, Gatto Silvestro, Bunny, Guerre stellari (nel bar, naturalmente), Incontri ravvicinati del terzo tipo (nel cielo stellato, nei piccoli robot, nei giocattoli in movimento), Poltergeist (gli stranieri mettono i gremlins nei televisori), Texas Chainsaw Massacre (l’aggressione con la sega elettrica), la diffusa ossessione per le macchine, i giochi, l’elettronica, la visione; un certo panico rispettoso di fronte all’oggetto meccanico, capace comunque di trasformarsi in incontrollabile agente distruttivo (in mano ai gremlins che uccidono proprio manomettendo strumenti elettrici e meccanici di uso quotidiano, ma anche in mano alla mamma, che scopre nella distruzione l’unico utilizzo funzionale delle macchine bislacche inventate dal marito); la suggestione e le infinite possibilità della comunicazione poetica, nella sua forma musicale e, a un livello percettivo ancora più rarefatto, nella sua forma mentale.

Insieme a Spielberg, alla sua factory e al suo immaginario: Blade Runner (nel colore ingiallito e nel brulichio fumoso dell’antefatto iniziale), un ricordo (capriano forse) della Little Orphan Annie cartoon e film in Mrs. Deagle, similissima al personaggio interpretato da Carol BurnettL’invasione degli ultracorpi di Siegel, citato in televisione come referente primario, Indianapolis di Clarence Brown, citato in televisione come referente “eroico”, PsycoCarrieShining e Rosemary’s Babymischiati indistinguibilmente e molto più che suggeriti dalle angolazioni e dai movimenti di macchina durante tutta la sequenza casalinga dello scontro tra la “madre americana” e i gremlins, L’esorcista di Friedkin, non solo nella comune origine figurativa dei gremlins (derivati dalle tradizionali rappresentazioni medievali e gotiche del diavolo), ma, ad esempio, nello sputo verdastro che uno di loro lancia al cane di casa, poi Flashdance e tutta la proliferazione del recente musical (nel bar, dove le citazioni dei generi si fanno ironico scimmiottamento), l’espediente di La finestra sul cortile adottato ancora nel bar da Kate per liberarsi dei gremlins, la grandezza eroica di Dracula nella dissoluzione di Stripe alla luce del sole (dove il piccolo Gizmo, come Van Helsing, tira la tenda in un guizzo di disperata sopravvivenza). Questo e, probabilmente, molto altro ancora, cinema di serie B, serials televisivi, fumetti, videogames.

In pratica Gremlins è un puzzle articolatissimo dell’immaginario collettivo come si propone oggi: abbastanza smaliziato da non credere più al diavolo come entità totalmente esterna, ma ancora oscuramente ossessionato da abissi e retaggi di inconscio; in transizione tra i vecchi rassicuranti modelli narrativi e le nuove intuitive geometrie elettroniche; sommerso di suoni, colori e forme discordanti. Il cinema può ancora fermare per un attimo la rapidità dispersiva del pensiero. I gremlins muoiono dentro un cinema. Forse il cinema è l’ultimo rifugio dei bambini tenaci (Spielberg in testa). Ma forse il discorso sta andando troppo in là per un innocuo, perfido scherzo natalizio.