Le variazioni Gould

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Per una curiosa coincidenza numerologica (ma la numerologia era uno degli interessi dell'artista in questione), il grande pianista canadese Glenn Gould nacque il 25 settembre di novant'anni fa per morire il 4 ottobre di cinquant'anni esatti dopo, ovvero quarant'anni fa. Sommo interprete di Johann Sebastian Bach (che sapeva affrontare con enorme correttezza filologica, ma anche con originalissimo fervore) ma anche di molti altri autori, è noto all'aneddotica per due cose: le sublimi registrazioni delle Variazioni Goldberg, effettuate una prima volta nel 1955 e riprese, rivedute e “corrette” nel 1981; e il fatto di essersi ritirato improvvisamente del tutto da ogni attività concertistica nel 1964 per dedicarsi completamente alle registrazioni in studio. Ma Gould fu molto altro. Fu uno sperimentatore eccezionale, sia in campo musicale che nei documentari radiofonici: le sue incursioni nelle comunità più remote dell'enorme territorio canadese, raccolte nella serie The Solitude Trilogy per la CBC, sono saggi a tutti gli effetti, degni di stare a fianco di quelli di altri grandi pensatori del suo Paese come Northrop Frye e Marshall MacLuhan (di cui Gould era amico). Di tutte le varie sfaccettature di Glenn Gould ne ha parlato François Girard nel bel documentario Trentadue piccoli film su Glenn Gould, recensito da Fabrizio Liberti su «Cineforum» n. 336, luglio/agosto 1994 (qui disponibile in pdf). 

 

La trama del film è… la vita di Glenn Gould. Il film, infatti, ripercorre le tappe significative dell'esistenza del geniale pianista, compositore, regista canadese Glenn Gould. Una ricostruzione che miscela in trentadue piccoli brani filmici, fiction, documentario e interviste ad amici e collaboratori del musicista, interpretato da Colm Feore. Particolare attenzione è mostrata dal regista québechese François Girard alle innumerevoli piccole manie, alle paure e agli interessi di Gould e alla sua clamorosa decisione di ritirarsi dalla scena a soli trentadue anni, al culmine della sua popolarità.

Dopo anni di relativo silenzio, la figura eccentrica e geniale di Glenn Gould sembra tornare d'attualità. Dopo la messa in onda dei suoi concerti fatta da RaiTre circa tre anni fa (purtroppo in collocazioni di palinsesto “fuori orario”), ecco adesso per i suoi estimatori questo delizioso film di François Girard, presentato nella sezione Finestra sulle Immagini durante la scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Il film è un ritratto agile e veloce, ma non banale, del grande musicista (una definizione, questa, sicuramente riduttiva per Gould), una specie di film biografico. Il problema che investe il film biografico è che spesso non riesce a mantenersi obiettivo: o eccede nella dissacrazione o, al contrario, nell'agiografia. Girard riesce a tenersi alla larga da questi difetti ma, nonostante ciò, su di lui si abbatte lo stesso l'anatema dei critici innamorati del personaggio raffigurato. Lietta Tornabuoni, nella sua recensione scritta per «L'Espresso», bolla il film come un'opera «soffocata dall'aneddotica» , una aneddotica delle più bieche, che gli studiosi seri di cinema solitamente bollano come «giornalistica, pettegola o futile». Ci permettiamo di dissentire e di osservare come nulla sia futile e pettegolo in questo film. Il ritratto che Girard disegna di Gould è a tutto tondo e non occulta le testimonianze di amici i quali pur amandolo molto, potevano dissentire dalle sue idee o descrivere le sue piccole manie di cui spesso erano le vittime.

La struttura del film è concepita sulla base di quella delle Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach, l'opera che segnò l'esordio discografico di Gould nel 1955, e che lo resero famoso in tutto il mondo. Incisione che ripetè solo nel 1982, pochi mesi prima della sua morte. Il numero dei frammenti in cui il film è suddiviso ricalca infatti quello dell'opera di Bach, che è appunto composta da trenta variazioni e da due arie. L'aria iniziale si ritrova in chiusura dell'opera, e anche il film mantiene questa idea di circolarità: la prima sequenza del film è un lento affiorare dal biancore accecante e dalla desolazione del Grande Nord canadese di Colm Feore, l'alter ego di Gould. L'ultima rappresenta il commiato di Feore il quale si accinge ad abbandonare il film (metafora della vita) e a essere di nuovo inghiottito dal biancore accecante. Tre sono stati i grandi amori di Gould: la musica, il “Grande Nord” e la radio, e questi tre elementi costituiscono lo scheletro del film. La carne e la pelle vengono fornite dalla marea di piccole (o grandi) paure e dalle manie per cui Gould andava famoso (e sulle quali esiste una aneddotica infinita) e che servono a delineare i lineamenti dell'uomo Gould. L'uomo e non l'artista è il centro di questo film; chi si aspetta di vedere Gould (o il suo alter ego Feore) all'opera rimarrà deluso.

Tutt'al più si vedrà Feore disegnare nello spazio delicati arabeschi con le mani seguendo il suono della celestiale melodia gouldiana o i martelletti e le corde di un pianoforte Steinway CD318 ricreare le note del concerto del 10 aprile 1964, l'ultima esibizione pubblica di Gould. Già dal primo frammento del film, intitolato Lago Simcoe, sulle cui rive vive il piccolo Gould con i suoi genitori, si evidenzia l'importanza che la musica e la radio avranno su di lui. «Mia madre diceva che a cinque anni avevo già deciso di diventare pianista», così Gould descrive la nascita della sua passione per la musica, tramessagli dalla madre, sua prima maestra, la quale lo segue amorevolmente mentre è religiosamente assorto nell'ascolto di brani di musica classica trasmessi dalla radio. Un amore infantile anche quello per la radio, che sboccia definitivamente dopo la sua decisione di abbandonare l'attività concertistica. Egli scopre le grandi possibilità inespresse di questo medium, e il suo lavoro è appunto volto a fornirgliene di nuove, mutuandole da quelle musicali. Si parlò infatti di “radio contrappuntistica” per i programmi radiofonici realizzati da Gould (tra l'altro amico di Marshall McLuhan, autore di uno dei più famosi e importanti saggi mai scritti sulla radio) per la Canadian Broadcasting Corporation. The Idea of North è il risultato più alto e consapevole della ricerca di Gould in questo campo, una sorta di partitura a più voci, un'opera che tratta la voce umana come uno strumento musicale. The Idea of North è un tema che nel film ritorna molto spesso; non solo da un punto di vista espressivo (il programma radiofonico) ma anche come ossessione di luoghi (il Circolo polare artico) e di sensazioni (la solitudine). Gould, come si evince dalle testimonianze snocciolate da Girard, amava la gente (i pescatori e la comunità dei Mennoniti) e i luoghi del Grande Nord (ha sempre desiderato fare una lunga vacanza oltre il Circolo polare), e la radio gli ha permesso di estrinsecare questo suo amore.

«Ho sempre amato la radio e quando prendevo il Nembutal confondevo le notizie del giornale radio con i sogni», dice Gould nel film (e anche nei suoi scritti). Questa insana passione per i farmaci è testimoniata spesso dagli intervistati e da brevi ma significative inquadrature, come quella del bagno del camerino dell'ultimo concerto, dove la mdp scopre una fila di flaconcini pieni di pillole multicolori. Pillole che Girard fa intervenire nuovamente nel frammento Pills dove, in una sarabanda di colori e descrizioni di effetti collaterali, diventano assolute protagoniste. Un'altra delle celebri manie gouldiane su cui il film si sofferma è quella per il telefono; strumento per concedere interviste (il libro Conversazioni con Glenn Gould di Jonathan Cott è stato realizzato così), per stroncare in estenuanti conversazioni notturne i suoi amici o anche per fare dei semplicissimi scherzi (come testimonia il frammento La posta del cuore). Una piccola grande fobia di Gould era quella per le infezioni; detestava dare la mano o compiere qualsiasi saluto che comportasse un contatto fisico (anche se questa fobia cessava quando si ritrovava a contatto con i pescatori del Grande Nord per i quali provava grande affetto e stima) ed era sempre abbondantemente vestito, anche d'estate, per timore di contrarre qualche malattia. A volte questa idiosincrasia nei confronti della malattia sfociava in atteggiamenti decisamente maniacali, come testimoniato dal frammento Diario di un giorno. Qui l'immagine di un pianista che esegue un brano sotto i raggi X è accompagnata da una specie di bollettino medico che elenca le medicine assunte da Gould e i dati della sua pressione arteriosa (rilevati ad intervalli di un quarto d'ora).

Un momento importante della carriera di Gould è quello della repentina decisione di ritirarsi dall'attività concertistica. Il film attraverso le testimonianze dei suoi amici e collaboratori ripercorre i motivi di questa decisione. Gould era convinto della necessità di un rapporto meno subalterno dello spettatore nei confronti del musicista e predicava l'avvento dello “spettatore critico”. Inoltre teorizzava sull'inferiorità del concerto dal vivo rispetto all'esecuzione resa in sala di incisione. Anche se più volte egli ha affermato che la sua decisione aveva un carattere più morale che materiale, Gould era affascinato dalla perfezione che l'elettronica della sala di incisione poteva conferire a una esecuzione mentre, al contrario, l'inadeguatezza dell'acustica della sala da concerto, anche della più adeguata, lo irritava. Dalle interviste raccolte nel film, si evince che tra i suoi amici e collaboratori questa decisione non fu compresa e sir Yehudi Menuhin non gli risparmia una decisa critica, sia pur affettuosa.

Ossessione per le malattie, per la numerologia, passione per le autointerviste, bisogno di impacchi di acqua calda per le sue mani prima dei concerti, dicerie sulla sua vita sentimentale, passione per le speculazioni in borsa, eccetera; per la buona pace della Tornabuoni tutto questo trova spazio nell'opera seconda di questo regista québechese (il suo esordio avvenne nel 1990 con Cargo) ma, provare per credere, senza cadere mai nel pettegolezzo o, ancora peggio, nella volgarità. Si tratta invece di un atto d'amore, mai annebbiato dalla passione, ma profondo e rispettoso. E c'è un momento in cui si riconosce ogni spettatore della sala, quello intitolato Hamburg in cui Gould prega con insistenza una donna delle pulizie ad ascoltare una sua incisione di Beethoven. La donna accetta controvoglia, presa dalla fretta di concludere il suo lavoro, ma piano piano le note del grammofono la incuriosiscono e infine la conquistano; alla fine, sorridendo timidamente, gli sussurra un sentito “grazie”. Un doveroso ringraziamento, come quello che l'umanità gli ha tributato quando una sua incisione di un Preludio di Bach è stata inviata negli spazi siderali con la sonda Voyager, offerta sublime dell'intelligenza umana a eventuali altre civiltà stellari.