Il lungo addio: cinquant'anni del film, settanta del romanzo

Rip Van Marlowe e il suo gatto

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Il lungo addio, romanzo se non il più famoso fra quelli di Raymond Chandler, di sicuro il più malinconico, compie quest'anno settant'anni. Vent'anni esatti dopo, ovvero mezzo secolo fa, uscì la versione cinematografica di Robert Altman, che pur con qualche licenza (la più azzeccata di tutte, l'invenzione di un Marlowe con il gatto in casa – ma lo stesso Chandler era un gattofilo di comprovata fede), seppe rendere perfettamente lo spirito del personaggio. “Rip Van Marlowe”, così il regista rinominò il personaggio, con riferimento al protagonista di quel racconto di Washington Irving che dorme vent'anni per risvegliarsi in un mondo completamente cambiato. Il Marlowe di Altman, genialmente interpretato da Elliott Gould, alla fine del film ammette quietamente di essere un fallito, e aggiunge: «E ho perso anche il gatto». Eppure, ci chiediamo, dopo aver dato il fatto suo al falso amico che l'ha manipolato, non sarà che Rip Van Marlowe, al suo ritorno a casa, vi troverà ad aspettarlo proprio il suo gatto? Del film ne scrisse Achille Frezzato, su «Cineforum» n. 147, settembre 1975.

 

 

«Cineforum» n. 147, settembre 1975

Speciale Altman: Images, Il lungo addio, California Pocker

La volontà di durare oltre le prevaricazioni di un sistema disumano

Achille Frezzato

 

Trasponendo sullo schermo nel 1973 il romanzo pubblicato negli Stati Uniti nel 1953, Robert Altman, avvalendosi della sceneggiatura approntata da Leigh Brackett, ha eliminato diversi personaggi; ha modificato circostanze drammatiche o addirittura le ha scartate (ad esempio, nel romanzo Roger Wade è trovato ucciso da un colpo di pistola e vanta una certa importanza la figura dell'editore dei suoi libri); ha tolto di mezzo le numerose digressioni saggistiche sul danaro, le donne, l'alcool, la legge, il suicidio; ha limitato i luoghi d'azione (Marlowe nel romanzo, ad esempio, ha un ufficio dove passa parte delle sue ore di lavoro), ma soprattutto non ha mantenuto come tema conduttore l'amicizia fra Marlowe e Terry Lennox ed il suo inesorabile sfaldamento: per Altman il nucleo drammatico del film risiede nei disordinati sussulti, nei disonesti intrighi di una società ormai in balia del caos, della violenza, allo sfacelo.

Dopo aver sfoltito il romanzo di Chandler di personaggi, di situazioni, di riflessioni, egli ha inventato nuovi personaggi, ha riservato importanza agli animali, ha connotato diversamente, aggiornando, il personaggio dell'investigatore, rimanendo fedele alla creatura di Chandler come felice incarnazione di un idealismo pragmatico tipicamente americano che si esprime e che si giustifica tutto nell'azione, ma caricandola di una valenza oltremondo chiarificatrice e sconvolgendo il finale del romanzo in cui Marlowe accetta la dura realtà, riconosce di essere stato giocato da Terry Lennox che si è spregevolmente servito della sua amicizia: il personaggio di Chandler è uno sconfitto, è un rassegnato di fronte alla marea montante del vizio, dell'infedeltà, del male.

Il Marlowe di Altman con la sua aria stralunata, con la sua mente che tutti ritengono obnubilata e intorpidita dall'azione della nicotina delle sigarette che fuma in continuazione, è solo in apparenza un vinto, un domato dagli eventi, egli veramente va fino in fondo alla sua indagine e, in un mondo che dispregia valori come la fedeltà ed il rispetto di se stessi, che calpesta ogni sentimento, egli si stacca dal gregge e vendica l'offesa arrecatagli da un amico che ha tradito la sua amicizia: nel finale del lavoro di Altman Marlowe uccide Lennox, ratifica con suprema decisione la fine di un legame, affermando che anche in un mondo dove pullula la corruzione gli affetti ed i sentimenti devono essere onorati.

Il suo addio a Lennox, in seguito alla scoperta della sua slealtà, è un sciogliersi dai legami del passato, è un lungo e doloroso processo che impone una scelta difficile, l'unica tuttavia che lo salva da qualsiasi compromissione con una società bacata, e infatti, dopo aver sacrificato l'amico infedele in vista di un avvenire dove i valori umani improntino di sé gli orientamenti sociali, Philip Marlowe si allontana sino a perdersi in un “totale” che ritrae una via alberata e in cui prevalgono gradazioni di verde e di caldo ocra: lungo questa via passeggiano tranquillamente esseri umani in felice significativo contrasto con l'ambientazione del resto della vicenda che si svolge in luoghi chiusi e in esterni ritratti in diverse fredde tonalità ocra ed arancio, immersi in una luce accecante e gessosa, quasi a evidenziarne l'aspetto anonimo, estraneo, privo di risonanza umana, in definitiva stranamente allucinante.

Protagonista di Il lungo addio (nell'originale The Long Goodbye, 1973) non è la figura del detective Philip Marlowe, che vi ricopre la funzione di collegare i “momenti” di una vicenda che descrive una società, un ambiente ed i suoi personaggi, e cioè scrittori alcoolizzati, medici solleciti unicamente o principalmente del loro onorario, poliziotti brutali e sbrigativi nelle loro indagini, donne di mondo infedeli, annoiate e dedite a ogni vizio, gangster sadici ma ben educati, circondati da strani figuri dalle maniere decise, ma privi di capacità raziocinanti. Il protagonista di Il lungo addio è questo mondo violento e convulso che avverte di procedere verso la catastrofe, ma che continua a battere i sentieri di sempre, credendo che la propria condizione risponda alla perfetta normalità, alla quale si rifiutano sia Philip Marlowe sia le giovani donne che occupano l'appartamento vicino al suo e che hanno trovato negli esercizi yoga e nell'uso della droga un mezzo per sfuggire a una realtà percepita come ammorbante.

Una fuga inutile e disastrosa sia perché forgiata su modelli, su espressioni culturali estranee, sia perché del tutto dipendente dall'organismo sociale ostile alla libertà, alla integrità del singolo, una fuga senza futuro, una velleitaria ribellione, non una rivolta maturata come quella di Marlowe che rigetta la realtà circostante nella prospettiva di un avvenire umano: il personaggio di Altman, pur apparendo sfasato rispetto al mondo in cui vive, è l'unico veramente libero e che si comporta come gli detta la sua indole, in una naturalità che egli divide solo con gli animali che appaiono in diversi momenti di Il lungo addio, dal cane che blocca la macchina di Marlowe a quelli che fanno la guardia alla casa dei coniugi Wade, a quelli che si accoppiano indisturbati nella piazza di un villaggio messicano, al gatto che occupa l'appartamento di Marlowe, che scomoda il suo coinquilino perché gli procuri del cibo e poi sparisce.

Come in Anche gli uccelli uccidono Altman indica negli animali, nel loro comportamento, dei parametri d'esistenza che l'uomo nel suo progresso tecnologico ha abbandonato, scostandosi dalla natura, dalle soluzioni che essa suggerisce per la sua vita: il discorso di Altman è unico e per esso egli indica una possibile salvazione dell'uomo dal folle consorzio costruito da alcuni suoi simili nel riguadagnare una dimensione naturalmente umana, in cui occupano il primo posto nella scala dei valori quelle entità, quei modelli di condotta tipici della persona umana.

In M.A.S.H. la guerra non era l'occasione per sublimi eroismi, ma una nefasta circostanza, un bagno di sangue, una teoria di carni maciullate; in Anche gli uccelli uccidono l'adolescenza non appariva come un'epoca privilegiata, di sereno fiducioso aprirsi alla vita, ma un'età difficile all'interno di una società avversa a una affermazione completa, naturale, della personalità; in I compari il West non possedeva nulla di eroico e di mitico: era il teatro dello scontro cruento fra le forze sociali coalizzate e l'iniziativa privata necessariamente soccombente; in Images l'esperienza allucinatoria della protagonista non veniva esposta in termini clinici, ma scopriva una nuova dimensione, introduceva in una realtà diversa, più completa; in Il lungo addio l'inchiesta di Philip Marlowe non dà l'avvio a una vicenda travolgente, strettamente congegnata, ma disvela un mondo dove per un uomo vero si fa sempre più difficile vivere. Difficile, ma non impossibile, solo che egli voglia responsabilizzare se stesso, la propria presenza, la propria azione: come la Cathryn di Images anche il Philip Marlowe di Il lungo addio è un personaggio che non è a suo agio nel mondo in cui conduce i suoi giorni, ma che, a differenza delle figure centrali di Anche gli uccelli uccidono e di I compari decide di non arrendersi ad un universo asfissiante, di salvaguardare la propria individualità, di imporla nella conservazione di tutti i valori in cui ogni uomo è chiamato a riconoscersi.

Come la protagonista di Images anche il personaggio centrale di Il lungo addio non rimane soggiogato nel suo scontro/confronto con la realtà, ma su essa prevale, forte della propria scelta individuale. ma proiettata in un domani che sarà quello di una umanità vera. Il contrasto fra la sua sorniona o spaesata caparbietà, che maschera una intransigente rettitudine, nel far luce nell'intricata situazione rivelataglisi in seguito alla fuga dell'amico Terry Lennox, e la vischiosa corruzione della società in cui egli svolge il suo lavoro, è suggerito da una sapiente accumulazione di notazioni d'ambiente e di particolari descrittivi che fanno di Il lungo addio un “film nero” contemplativo, da cui sono bandite le frequenti rapinose esplosioni di violenza e da cui, lungo il pigro snodarsi dell'azione, non si devono attendere inseguimenti mozzafiato, feroci regolamenti di conti, sparatorie interminabili, sinistre raffinate esecuzioni. Il lungo addio è tutto tramato da una invisibile, ma condizionante violenza, propria di una società in cui l'arbitrio è dissimulato dal volto suadente di istituizioni democratiche, una violenza veramente reale per le sue manifestazioni inattese, inopinate, improvvise.

I luoghi familiari del film poliziesco (l'ufficio del detective, il commissariato di polizia, la clinica psichiatrica, gli incontri/scontri con la malavita) nel film di Altman non esistono o sono completamente trasformati, privati della loro dimensione crudamente realistica e drammatica: Marlowe non ha un suo ufficio; il suo interrogatorio negli uffici della polizia si svolge in una atmosfera ironico-umoristica promossa dal suo comportamento con il quale egli cerca di imitare Al Jolson; la ricerca di Wade nella clinica psichiatrica si compie secondo le cadenze di un gioco a rimpiattino fra lui, il personale della clinica e il direttore; i suoi rapporti con il gangster Marty Augustine sono improntati ad uno scambio di battute anche cordiali, in un clima sospeso, denso di minaccia che si scarica, si risolve in situazioni inattese (il malvivente sfegia la sua donna con una bottiglia di Coca-Cola), esilaranti (con i suoi uomini egli si denuda, prendendo alla lettera una espressione di Marlowe).

D'altro canto, al film poliziesco tradizionale rimane vincolata la figura dell'investigatore che procede, come un cavaliere errante, alla ricerca della verità all'interno di un mondo all'apparenza ordinato, tranquillo, appagante e retto da sani principi, ma in realtà mortalmente minato e vicino allo sfacelo. Nella sua investigazione Philip Marlowe, vero punto fermo, entità definita in un universo dove ogni vincolo, ogni relazione umana è sconvolta dalla brama di denaro, dalla volontà di emergere, di calpestare gli altri, di sfruttare a proprio egoistico vantaggio i sentimenti più genuini (mirabile e indicativa di questa diversità l'immagine di Marlowe che gioca con le onde marine, la quale si riflette sulla vetrata dietro cui i coniugi Wade si lanciano offese e improperi), si comporta con scioltezza, con una certa sicurezza, con una sua eleganza, come risulta d'altro canto evidenziato dalla sequenza iniziale che potrebbe sembrare del tutto astrusa e nella quale Altman, illustrando il comportamento del gatto del protagonista (l'animale non si vedrà più nel corso del film), intende definire, fissare il carattere del suo personaggio.

Portando sullo schermo il romanzo di Raymond Chandler e proponendo il suo personaggio, il detective privato Philip Marlowe, Robert Altman non ha tenuto presente le interpretazioni che di esso erano state date nelle precedenti versioni cinematografiche di racconti o di romanzi dello scrittore: in tempi in cui si narrano imprese di superpoliziotti, di agenti speciali con licenza di uccidere, l'eroe chandleriano apparirebbe una figura spaesata, priva di addentellati con la realtà. Di qui la scelta di Altman non di fare la parodia della creatura del romanziere, ma di aggiornarla, rispettandone alcuni dei caratteri sostanziali.