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Si chiama Lafayette, come il celeberrimo generale, il giovane Christian, rientrato in Francia dalla guerra in Afghanistan dopo una missione che ha lasciato molti morti e ferite e incubi inguaribili nei commilitoni. Irrequieto fin dall’adolescenza trascorsa in campagna con i nonni, nell’esercito ha trovato quella che chiama la “famiglia”. Ordine, regole, un “padre” e soprattutto tanti fratelli non di sangue. Ma gli affari di famiglia spesso sono tutt’altro che limpidi.

Sentinelle Sud è la storia di una rieducazione alla vita e alla pace che attraversa tutte le stazioni di un percorso rabbioso, insofferente, spesso ostile. Storie di chili e chili di droga scomparsi lungo la via dall’Afghanistan, di bande di trafficanti, di madri stizzose e ufficiali all’apparenza protettivi, ma soprattutto di amici malcapitati e molto malconci (fisicamente e psicologicamente) dopo il ritorno dalla guerra. Il regista Mathieu Gérault (anche autore della sceneggiatura con Nicolas Silhol e Noé Debré) si è esplicitamente rifatto ai generi, al polar e al crime movie di rapina, ma anche al film sociale, e tra i suoi ispiratori ha citato, insieme a Jean-Pierre Melville, Roberto Rossellini e Sidney Lumet. Adottando uno stile classico, fatto di dialoghi in campo/controcampo e di azioni rapide ed efficaci, ha costruito un film solido, che riesce a evitare alcune trappole narrative scontate e a concentrarsi soprattutto sulla ricerca nervosa di Christian di una qualche vita dopo l’esperienza dell’esercito e sulla sua maturazione. Si muove a tentoni, tra amici, parenti e nuovi incontri, senza riuscire a riconoscersi, ad adattarsi a nulla e, in quel suo girovagare attraverso i suoi mondi comunque alieni, ci si aspetta sempre il peggio, il dramma rovinoso.

Il problema, ovviamente, è la “famiglia”; non solo quello che l’esperienza della guerra lascia dietro di sé, dentro i reduci; non solo per quel devastante e mostruoso desiderio di tornare là; ma soprattutto per tutte le deformazioni eroiche e le false sicurezze che la vita militare implica. In questo senso, il volto scavato e algido di Denis Lavant (che interpreta il comandante/”padre”) è in se stesso un segno, forte e immediato, di rigidità storica e immutabile. Si torna sempre là, all’origine del male, anche se in realtà in Sentinelle Sud non ci sono veri buoni e cattivi, ma piuttosto un mondo difficilmente riconoscibile e riconducibile a valori umani, se non quelli codificati da categorie, razze, universi diversi (zingari, musulmani, militari, istituzioni psichiatriche), per lo più non comunicanti, in mezzo ai quali procede Christian.

Niels Schneider (quasi esordiente poco più che ventenne in J’ai tué ma mère e Les amours imaginaires di Xavier Dolan e di recente coprotagonista di Gli amori di Suzanna Andler di Benoît Jacquot) ha la faccia e il corpo giusto per condurre un film nel quale è praticamente sempre in scena: faccia da ragazzo (sembra più giovane dei suoi trentaquattro anni) su fisico allenato di soldato, contemporaneamente meno duro e meno fragile di quello che, in momenti diversi, vorrebbe sembrare.