Concorso

La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi

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Chi è 'o bbuono e chi è 'o malamente. Sono queste le categorie esistenziali tra le quali si trovano a scegliere i ragazzini dei quartieri Spagnoli, del Rione Sanità, di Ponticelli, del quartiere Traiano di Napoli. Scelgono Alessandro e Pietro, i protagonisti di Selfie di Agostino Ferrente, cercando di trovare un'alternativa a ciò che sembra essere il loro destino forzato di criminali. E scelgono i protagonisti de La paranza dei bambini, il film di Claudio Giovannesi tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, unico italiano in concorso alla Berlinale. Ma è un altro tipo di scelta.

I giovanissimi protagonisti del film appartengono allo stesso territorio e allo stesso tessuto in cui la criminalità è parte integrante – quando non fondante – del sistema sociale, ma a differenza dei due coetanei raccontati dal documentario di Ferrente la scelta che credono di poter fare è un'altra. Non se essere criminali o meno, ma essere criminali in modo diverso.

Nicola, Tyson, Biscottino, Lollipop, O’Russ, Briatò diventano criminali semplicemente perché è naturale. E con la stessa naturalezza con cui vanno a vedere i vestiti che non possono comprare, con cui si fanno le foto con gli amici, sognano di andare a ballare o guardano le ragazze, cominciano a spacciare per conto del boss locale. Guardano il loro mondo e ci vogliono entrare, come chiunque allo loro età. Ma il loro sguardo pronto a stupirsi di tutto, nel mondo in cui vivono, si posa inevitabilmente sulle armi, sui soldi dello spaccio, sul lusso pacchiano dei camorristi: “la bellezza” di cui vogliono godere. E come tutti gli adolescenti la vogliono ora, subito.

Giovannesi gira e racconta con la sensibilità emotiva e di messa in scena tipica del suo cinema (una cifra stilistica ormai chiara al terzo film). Una sensibilità che passa innanzitutto attraverso la direzione degli attori e che riesce a fare di La paranza dei bambini non il “solito” film sulla camorra, il “solito” film sullo sfruttamento dei bambini e degli adolescenti da parte delle organizzazioni malavitose, ma qualcosa di diverso.

Affonda a piene mani nel crime movie migliore, da Scorsese a De Palma, calandone i paradigmi in modo del tutto credibile nel contesto napoletano cui la cronaca (e il cinema e la televisione) ci hanno reso avvezzi. Ma non indugia, anzi. Se infatti conta inevitabilmente la dimensione “sociologica”, Giovannesi riesce però a lasciarla sullo sfondo e a non farla pesare. Tutta l’attenzione si concentra sulla prossimità con Nicola e i suoi compagni, su quella naturalezza e sulla loro voglia di mordere la vita per quello che è nel loro mondo fatto di soldi, potere, rispetto. Conta solo quello, ma per Nicola conta anche qualcosaltro: ristabilire una forma di giustizia per gli abitanti del quartiere che devo essere liberati dal racket delle estorsioni. Nicola vuole il potere, i soldi, il rispetto e li vuole credendo di poter diventare un boss amato dalla gente. Con questo obiettivo inizia la sua scalata infilandosi nel classico rise and fall (anche se la caduta rimane in sospeso) di tanti criminali cinematografici.

Giovannesi, trovando la perfetta misura tra il naturalismo della rappresentazione e i meccanismi del genere, racconta in breve la storia di una disillusione, quella di Nicola che vuole in fondo solo ribaltare il suo punto di vista sul quartiere, non sovvertire le regole ma farle proprie e applicarle a modo suo. È, come sempre, una questione di sguardi, e - dopo aver osservato - Nicola vuole diventare l’oggetto dello sguardo delle persone, di coloro che fino a un minuto prima ha guardato con ammirazione, paura o compassione e che ora ora devono girare gli occhi e sapere chi devono guardare, rispettare, temere o ringraziare. 

Con i primi soldi guadagnati porta Letizia, la ragazza che vuole conquistare, al San Carlo all’opera. In quel palchetto i due ragazzi si guardano emozionati, accarezzano il velluto rosso che copre ogni cosa e fissano tutto con lo stupore candido e totalizzante che solo l’essere fuori posto può dare. La stessa meraviglia assoluta Nicola la prova la prima volta che tiene una pistola vera tra le mani, la prima volta che riesce a entrare in discoteca perché può pagare un tavolo, la prima volta che i boss degli altri rioni lo guardano con odio, la prima volta che gli abitanti del suo quartiere lo ringraziano mentre lui li saluta dall'alto del balcone di casa. Nicola in quel momento crede possibile realizzare il suo sogno, e ci crede proprio perchè è un adolescente. Lo stesso che, tra un tiro di coca e una sparatoria, litiga con il fratellino per l'ultima crostatina rimasta a colazione.