Fuori Concorso

L'Innocent di Louis Garrel

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La cifra del cinema di Louis Garrel è l'intelligenza emotiva. E non è poco. Lo conferma anche L'Innocent, sceneggiato ancora una volta (dopo Christophe Honoré Jean-Claude Carrière)  insieme a uno scrittore dallo stile fortemente cinematografico come Tanguy Viel. È forse proprio dal suo cosceneggiatore, i cui romanzi sono spesso collocati in ambienti proletari o sottoproletari, segnati dalla criminalità e dalle poche possibilità di elevazione sociale, che viene la variazione cui assistiamo con L'Innocent. 

Per la prima volta Garrel gira infatti un film non parigino. Spostandosi a Lione, Garrel sposta anche l'attenzione dalla borghesia della capitale a una borghesia più modesta e provinciale attraverso la quale mette a tema un sottile confronto tra classi sociali. Prendendo ispirazione direttamente dalla sua esperienza di adolescente figlio di una madre (la regista, sceneggiatrice e attrice Brigitte Sy) impegnata con i laboratori di recitazione in carcere, Garrel si mette in scena - nei panni del suo abituale alter ego Abel - come figlio di Sylvie (Anouk Grinberg) un'ex attrice che, frequentando la prigione, si innamora di Michel (Roschdy Zem) e lo sposa prima della fine della pena. 

Il matrimonio turba Abel che, completamente richiuso in se stesso dopo la morte della moglie, è ossessionato dall'idea di proteggere la madre. Schiacciato dai sospetti nei confronti di Michel, si trova così a misurarsi con l'ambiente della malavita fino a farsi coinvolgere nell'ultimo colpo  che l'uomo sta architettando per garantire un futuro economicamente tranquillo a lui e alla sua amata Sylvie. Nel colpo viene coinvolta anche Clémence (Noémie Merlant) la migliore amica della defunta moglie di Abel del quale è diventata la confidente.

Un film di scrittura che gioca con i generi, li mescola e se ne prende il piacere. Guarda al polar ma soprattutto alla commedia sentimentale, e libera un’energia vitale che mette il testo totalmente al servizio degli attori (è proprio la loro capacità di vestire ruoli imprevedibili a ritornare come filo conduttore della narrazione e a stupire continuamente lo spettatore), diretti con grande complicità proprio partendo dall’idea di mettere in crisi i pregiudizi, gli stereotipi e le posizioni precostituite che si hanno su stessi prima ancora che sugli altri. 

Nel suo confronto con Michel, che lo trascina in un mondo non suo, Abel finisce infatti per aprire se stesso, emotivamente e psicologicamente, e torna a vivere in sintonia con quelle che sono rimaste le donne della sua vita. Un confronto tra ambienti sociali e tra generi che prende forma con naturalezza e profonda sensibilità per le umane debolezze.

Ed è una boccata di ossigeno. Di fronte a un fiume di narrazioni in cui il confronto tra i generi si risolve in una sgraziata e cupa presa di posizione a priori, che normalmente si conclude con una punizione del maschio colpevole senza un minimo di scavo e di problematizzazione, Garrel riesce a descrivere un universo umano in cui non ci sono colpevoli né innocenti. O meglio in cui tutti sono a loro modo colpevoli e sono capaci di assumenre la responsabilità delle proprie azioni solo nel momento in cui si guardano davvero, disposti a spogliarsi di nevrosi e paure. Garrel - ancora una volta - si dimostra un narratore capace con finezza di chiamare in causa le fragilità, la mancanza di coraggio, la volubilità del genere maschile mettendolo di fronte a un genere femminile la cui determinazione, al contrario, risulta spesso risolutiva. Eppure i due generi non si osteggiano ma si confrontano, non si puniscono ma si capiscono, o almeno ci provano. Perché forse la soluzione non è punire ma provare a capire e capirsi, rigenerandosi come fa l’axolotl, animale marino dall’aspetto ibrido, un po’ pesce, un po’ salamandra, che ha la capacità di ridefinire la propria forma.