Dei di Cosimo Terlizzi

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Il viso bellissimo, intenso, di un ragazzo al risveglio, che guarda in camera. Si direbbe una divinità (greca). Lui si chiama Martino, ha 17 anni, è un sognatore. E Dei comincia così, dallo sguardo di un ragazzo che si trova sospeso a mezz'aria, tra il richiamo della terra (pugliese), delle sue radici, e il bisogno di cielo, altezza, la voglia di volare via.

Tutto è pieno di Dei. Per chi sa vederli. Un vecchio ulivo, un agnello, un cane ferito, una statua dalla bellezza apollinea, un giovane dionisiaco semi-dio che non è maschio né femmina, una ragazza che legge un libro su una panchina fuori dall'università, un sogno verde, una roulotte in un campo dove vive una prostituta, una luna sbiadita...

Per vederli ci vuole un cuore ispirato, un'anima tormentata, un ragazzo in cerca della propria strada. Ci vuole un cinema come quello di Cosimo Terlizzi, che ha il dono raro di sapere vedere “l'invisibile”, il sentimento delle cose, l'aura misteriosa che eccede l'immagine, il silenzio tra le parole (parole poetiche e filosofiche, chiacchiere tra amici sul senso della vita, lezioni d'arte e mitologia di un prof universitario).

C'era grande curiosità per l'approdo di Terlizzi alla fiction, all'industria del cinema, per quanto indipendente, un film prodotto dalla Buena Onda di Valeria Golino, Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri. Perché il suo è un percorso artistico fuori dai canoni e dal mercato, libero, provocatorio, personalissimo, fatto di documentari, installazioni, videoarte. Ebbene, ci è riuscito: la sua sensibilità, l'attitudine visionaria, la capacità di guardare le cose “di traverso”, senza fermarsi all'ovvio, sta tutta dentro questa storia semplice (e biografica) di un ragazzo di campagna che scopre la città (Bari) e i giovani (intellettuali) che “fanno la vita”. Si è piegata - senza spezzarsi - alle esigenze di un cinema che sceglie la leggerezza e la bellezza delicata di una trama dall'andamento rapsodico, intonata ai movimenti dell'anima di Martino, i suoi sogni, le intuizioni, i desideri, le paure. Il padre rude che lo tratta come un ragazzino, la madre dolce e lontana come una stella solitaria, la vita di campagna, misteriosa e crudele, la scoperta di sé e dell'altro, lo sballo, l'amicizia quella vera... Sullo sfondo, la malattia che colpisce gli ulivi, e un vecchio albero che forse sta per morire. Ma anche la grandezza di un passato che va interiorizzato, la “grecità”, quell'idea di bellezza e connessione tra uomo e universo, quel modo di vivere la natura e i nostri limiti. E poi la luna che forse sta scappando via, che si sta allontanando dalla Terra, un po' come Martino.

Dei è un film facile da equivocare, è l'opera di un “rabdomante”, di un autore che sceglie di confrontarsi apertamente con le regole della fiction, stando dentro le cose, i volti, le parole a volte fin troppo importanti, gli episodi anche ovvi che tutti abbiamo vissuto diventando grandi, ma con uno sguardo sottile, una straordinaria capacità di leggere i moti segreti dell'anima, di ascoltare la voce della natura, dei sogni, di ciò che ci supera, degli Dei di cui è pieno il mondo. Un film dotato di una grazia speciale.

Lo abbiamo visto in anteprima al festival Aquerò, lo spirito del cinema. Lo vedremo in sala tra la fine di aprile e l'inizio di maggio (dopo un'ulteriore presentazione al Bari International Film Festival), distribuito dalla Europictures, che in listino ha altri film notevoli come Les Fantômes d'Ismaël di Arnaud Desplechin o You Were Never Really Here di Lynee Ramsay (e in passato ha distribuito il Pasolini di Abel Ferrara).

Dei, per quanto ci riguarda, si presenta come una delle più belle sorprese di quest'anno, sul fronte del cinema italiano. Un fiore fragile, forse, che va protetto, ma che ha un profumo intenso, magico, di quelli che si incontrano raramente dalle nostre parti.