Benoît Jacquot

Gli amori di Suzanna Andler

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«Il mare d’inverno/È un concetto che il pensiero non considera/È poco moderno/È qualcosa che nessuno mai desidera». Non fa eccezione al paradigma ruggeriano l’angolo di Côte d’Azur (tra le falesie di Cassis) dove Suzanna Adler (Charlotte Gainsbourg) fa un sopralluogo per vedere una casa con otto camere da letto che forse il marito le affitterà per l’estate, a una cifra irreale. Una casa da sogno, una vista invidiabile, la luce del mediterraneo che, d’inverno, è ben oltre il «film in bianco e nero visto alla tv». All’agente immobiliare Rivière (Nathan Willcocks), che evidentemente conosce bene e che la sta coprendo senza eccessivo entusiasmo di complimenti, Suzanna risponde:  «Sa, non ho niente di straordinario, glielo assicuro… sono una delle donne più tradite della costa azzurra, lo sapeva?»

È questa Suzanna Andler, una donna di quarant’anni, «d’una eleganza sobria. Slanciata. Bruna. Tristezza nello sguardo. Aria vagamente creola… Perfettamente conservata», dice la didascalia originale del testo durassiano, che sembra disegnata sulla Gainsbourg prima ancora che venisse concepita (anche se l’«eleganza sobria» lascia il posto a quella più ambiguamente felina degli abiti Saint Laurent disegnati da Anthony Vaccarello).

Una moglie «inconoscibile se non attraverso il desiderio», che sa di essere tradita, e che forse si illude, per un attimo, che la reazione uguale e contraria al tradimento posso dare un senso a quella vita a cui non sembra poi così tanto attaccata. Si fa lasciare nella casa per pensare a come organizzarsi, nel caso si decidesse ad affittarla, telefona a Parigi ma trova solo la governante, si addormenta sfogliando una rivista, e viene svegliata solo dall’apparizione di Michel, il suo giovane amante. Comincia un gioco di triangolazioni tra i due e il marito Jean, in absentia, e nel dialogo emerge un’evidente oscillazione tra il ritrarsi e l’offrirsi a quel desiderio, e un assoluto principio di incertezza riguardo al proprio. Un principio di incertezza che lo spettatore è portato a estendere a tutto quello che avviene in scena dopo la partenza di Rivière: forse Michel, ma anche l’amica Monique che Suzanna incontra dopo la prima discussione con l’amante, non sono altro che fantasmi con cui confrontarsi…

Glielo aveva promesso. Marguerite Duras pubblica questa pièce appena prima del maggio 1968, e forse l’aria del tempo non era la più adatta, probabilmente il timore era che il pubblico recepisse più l’elemento borghese, e il testo rimane sostanzialmente accantonato dopo una versione teatrale del 1969, malvista dalla stessa autrice. Eppure il personaggio che ha creato continua ad attirarla. Benoît Jacquot, aiuto della Duras sul set di tre film, Nathalie Granger (1972), La femme du Gange (1974),  India Song (1975), sviluppa un legame di amicizia con la scrittrice, e la frequenta fino alla fine, e proprio in virtù di questo le promette che ne farà un film, prima o poi, da quel dramma abbandonato nel maggio 1968. Eccolo, il film, 26 anni dopo la morte dell’autrice.

A dispetto di una fedeltà notevolissima al testo, qualche licenza Jacquot se la prende, innanzitutto nelle scelte di décor, affidate a Pascale Consigny, che smussa la sensazione di convenzionalità correlata all’onnipresenza della morte con cui Duras tratteggia gli ambienti nella didascalia in apertura del dramma. Anche perché è chiaro da subito che Jacquot farà di tutto per evitare la trappola del teatro filmato. Anzi, è proprio nell’entrare in quella casa dall’aspetto tutto sommato ordinario (almeno per quel che si vede dal fronte verso la strada), per scoprirne l’interno articolato e imponente e affacciarsi sulla scena vasta e aperta del mare, su una scogliera rivolta a occidente, che sta uno degli elementi più cinematografici del film; dal momento in cui si spalancano le porte che danno sul terrazzo si ha l’impressione che Christophe Beaucarne, direttore della fotografia, sappia perfettamente come catturare quella luce d’inverno, che invade lo spazio, come un’onda, e si ritira poi progressivamente (naturale o “aiutata” che sia poco importa), fino alle tonalità assolutamente crepuscolari del finale; luce che accarezza le pareti – in quel soggiorno che diventa lo spazio privilegiato del dialogo tra Suzanna e Michel – e su di esse due quadri, imponenti, due figure à la Matisse (l’autore è Hervé Ingrand, marito della Consigny), una donna e un uomo, affiancati da altrettanti specchi che non possono che amplificare e complicare i meccanismi del dialogo, mentre il suono astrattamente malinconico e vagamente straniante dello shakuhachi di Katsuya Yokoyama genera per i più attenti un corto circuito: quella dialettica tra esterno e interno, con altri personaggi, altre case, altre porte a vetri e altre musiche esotiche l’avevamo già vista in India Song.

Perché Gli amori di Suzanna Andler non è solo il compimento di una promessa, è un omaggio a Duras in tutti i sensi, con tutti i pro e i contro della sua scrittura, della sua parola, della sua intelligenza. E alla fine, benché il mistero di Suzanna Andler rimanga polverizzato nelle sue parole e nelle sue esitazioni, si rimane con lei, ci si annoia con lei, si cerca di tirare con lei le fila della giornata. Si porta a casa la sensazione che quella luce, calando lentamente, abbia fissato anche su di noi, sui nostri abiti, l’odore familiare di chiuso e di salsedine di certe case al mare, rimaste chiuse troppo a lungo.


 

Gli amori di Suzanna Andler
Francia, 2021, 91'
Titolo originale:
Suzanna Andler
Regia:
Benoît Jacquot
Sceneggiatura:
Benoît Jacquot
Fotografia:
Christophe Beaucarne
Montaggio:
Julia Gregory
Cast:
Charlotte Gainsbourg, Niels Schneider, Nathan Willcocks, Julia Roy, Sandrine Rivet
Produzione:
Les Films du Lendemain, Les Films du Losange, Ciné+
Distribuzione:
Wanted

La ricca Suzanna Andler è intrappolata in un matrimonio agiato e deve scegliere tra una vita di moglie e di madre, governata dalle convenzioni e dall’infedeltà, e un’esistenza libera ma più rischiosa, incarnata dal suo giovane amante. Alla ricerca di un’impossibile emancipazione, Suzanna ci racconta delle mille sfumature di una storia d’amore. Il film è tratto dall’omonima opera teatrale di Marguerite Duras.

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