Kim Yong-hoon

Nido di vipere

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La metafora dello squalo toro, espressa da uno dei personaggi di Nido di vipere, riassume bene il senso di questo neo-noir coreano. Quando deve riprodursi, la femmina dello squalo toro ospita nel proprio ventre circa cinquanta embrioni che si mangiano a vicenda finché ne rimarrà solo uno, destinato alla nascita.

È questa, in estrema sintesi, la storia narrata da Kim Yong-Hoon nel suo esordio alla regia. Attorno a un borsone Louis Vuitton pieno di soldi, ritrovato per caso in un armadietto, si muovono i destini dei personaggi: un umile inserviente di una sauna che vive con la madre malata di Alzheimer; un funzionario della dogana indebitato con un feroce strozzino; una escort che vorrebbe far fuori il marito violento, prima con l’aiuto di un cliente e poi della proprietaria del night dove lavora; il detective che investiga sul caso tentando, come lo spettatore, di venirne a capo.

Lo scenario ricalca quello dei principali successi cinematografici (Parasite) e seriali (Squid Game) coreani degli ultimi anni: che si abbia un lavoro o meno, in Corea del Sud hanno tutti un disperato bisogno di soldi, per sopravvivere o per migliorare il proprio status sociale.

A questa necessità tentano di rispondere i protagonisti, ma restano intrappolati nella loro condizione, come sottolineato dalla struttura narrativa a episodi, non in ordine cronologico, che strizza l’occhio a Pulp Fiction e rivela nella sua circolarità il destino ineluttabile a cui non si può sfuggire. La borsa con il denaro dalla misteriosa provenienza, MacGuffin dal sapore anch’esso tarantiniano (come l’ironia pulp di molti dialoghi), risulta dunque inafferrabile, passando di mano in mano dall’inizio alla fine.

Seguendo la lezione di Hitchcock, la regia alterna sorpresa e suspense, conferendo al racconto un ritmo serrato, specialmente nella seconda parte in cui la diva Jeon Do-yeon sale in cattedra prendendosi il film, nel ruolo della tenutaria e femme fatale spietata che – fiutando l’odore dei soldi – si offre di aiutare la giovane escort a sbarazzarsi del marito.

Insieme a Tarantino, l’altro modello dichiarato di ispirazione sono i fratelli Coen, in particolare Fargo e Non è un paese per vecchi, tra colpi di scena, humour nero, inutile ambizione, uccisioni insensate e scambi di persona, e il ruolo cruciale della casualità. In un universo governato dal caso (e dal suo anagramma caos), anche un pacchetto di Lucky Strike può salvarti la vita o essere la tua condanna. E ai personaggi non resta allora che aggrapparsi – invano – a tutto (Beasts Clawing at Straw, “Bestie che si aggrappano alla paglia”, è il titolo internazionale del film), e sperare che in qualche modo le cose si aggiustino. L’importante è rimanere vivi, poi «bastano due braccia e due gambe, e si può ricominciare da capo».


 

Nido di vipere
Corea del Sud, 2020, 108'
Titolo originale:
Beasts Clawing at Straws
Regia:
Kim Yong-hoon
Sceneggiatura:
Kim Yong-hoon
Fotografia:
Kim Tae-sung
Montaggio:
Meeyeon Han
Musica:
Nene Kang
Cast:
Jeon Do-yeon, Jung Woo-sung, Sung-Woo Bae, Youn Yuh-jung, Hyeon-bin Shin, Man-sik Jeong, Jin Kyung, Ga-ram Jung, Jun-han Kim
Produzione:
Megabox Plus M
Distribuzione:
Officine Ubu

I destini di alcuni personaggi ai margini della società si intrecciano in modo imprevedibile quando un umile inserviente trova una borsa piena di denaro abbandonata in un armadietto. L’inatteso tesoro nasconde dietro di sé un intreccio di storie di spietati malviventi ed esistenze miserabili. Tra omicidi, tradimenti, colpi di fortuna e sfortuna, i destini beffardi dei protagonisti s’incrociano, cacciandoli in guai sempre più profondi, in un disperato gioco senza esclusione di colpi.

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