Xiaogang Gu

Tiepide acque di primavera

film review top image

Una storia come tante, una storia di famiglia. La sera in cui si sta festeggiando il suo compleanno nel ristorante di uno dei figli, l’anziana matriarca di una famiglia dell’Hangzhou ha un malore e viene portata in ospedale: al suo ritorno a casa non è più la persona energica che era, e anche la sua memoria comincia a vacillare. Per i quattro figli e le loro famiglie si prospettano scelte che potrebbero complicare le loro vite, le loro prospettive, le loro economie. I soldi sono il tarlo che si fa strada in questa (come in tante) vicende familiari e sono lo spettro che serpeggia nelle tante pieghe di una Cina sempre nuova e in rapidissimo cambiamento. Da subito, nel chiacchiericcio del ristorante si sente parlare di speculazioni in previsione di grandi eventi sportivi, di demolizioni e di ricostruzioni moderne e fastose; da subito debiti e crediti dei quattro figli dell’anziana madre entrano nel corso della storia. Una cosa rimane immutata: il fiume Fuchun che scorre lento verso la propria foce, e con lui il paesaggio che lo incornicia da secoli. Un paesaggio in cui le piccinerie degli umani e i palazzoni della nuova ondata di progresso non possono che essere subordinati, se non addirittura distanti, schiacciati dalla prospettiva.

Tiepide acque di primavera è il titolo scelto per la distribuzione italiana per una volta traduzione fedele di quello originale; per una volta però, quello usato per la circolazione internazionale sembra evocare meglio l’immaginario sotteso a tutto il film. Dwelling in the Fuchun Mountains è il titolo inglese di questo film d’esordio di Gu Xiaogang e “Abitare tra le montagne di Fuchun” è anche il titolo di un dipinto su rotolo di carta di Huang Gongwang, ex funzionario imperiale e monaco taoista, virtuoso e teorico della pittura, realizzato intorno al 1350, all’apice della sua carriera. Un dipinto che viene menzionato nel film in più di un’occasione e mostrato almeno una volta: un’opera di quasi sette metri per trenta centimetri – anche se nel XVII secolo fu tagliata in due, un pezzo si conserva a Taipei, un’altro nel museo provinciale dell’Hangzhou –  che in maniera palese, per il tema rappresentato e l’ampiezza del suo srotolarsi, dà il passo narrativo a Gu Xiaogang. Il giovanissimo regista, nativo di quella regione, sembra legare a triplo filo lo stile che decide di adottare a una fonte iconografica tanto autorevole. E, attraverso questa scelta, riesce a dimostrare che si può concepire un’opera monumentale senza per forza ricorrere al gigantismo.

Tutti i momenti importanti del film sono risolti in long take che non sono mai vuoto virtuosismo ma necessità narrativa, e si dispiegano in movimenti laterali, lenti e articolati, raccogliendo figure, volti e suoni che costringono spesso lo spettatore a uno sforzo supplementare di interpretazione, sempre ripagato sul piano emozionale: esattamente come l’occhio di fronte alla pittura su rotolo è indotto a una lenta lettura laterale complicata da una profondità prospettica che all’epoca la pittura occidentale non aveva ancora sperimentato (o aveva messo tra parentesi). Pochi anni prima di Huang Gongwang, da noi, Ambrogio Lorenzetti dipingeva le celeberrime allegorie del Buono e del Cattivo Governo, che potremmo rititolare, per analogia, “Vivere tra le colline senesi”: un apparato decorativo dove la figura umana e il suo agire hanno una rilevanza assoluta. Se torniamo al film con questo confronto in mente, diventa difficile negare il sottotesto allegorico di questa saga familiare con una Madre malata che non ha mai un nome proprio e con dei Figli, che pure il nome lo hanno ma sono apostrofati come Primo, Secondo, ecc., e viene la tentazione di vederci una sorta di allegoria del governo inteso come il vivere un ambiente stagione dopo stagione amministrando il lascito umano e morale tra le generazioni. Nel suo sguardo distante e pacificato Gu Xiaogang non condanna i suoi personaggi, anche se lascia trapelare la tentazione di giudicarli, ma si prende il tempo per farli cambiare, proprio attraverso quell’uso pensato della ripresa in continuità che aggiunge al senso del paesaggio mutuato dalla pittura un senso del tempo che è prettamente cinematografico; un tempo che appiana e lenisce, integra e sorprende, complica e risolve.

Come avviene nella sequenza dialogata, camminata, nuotata e chiusa su un ferry che vede la prima uscita tra la giovane Gu Xi e il suo ragazzo, l’insegnante Jiang Yi: quindici minuti di cinema puro per illustrare il trionfo del sentimento pulito e disinteressato, l’avvicinamento rapido e incondizionato tra i due giovani (anche se lui non è il fidanzato ricco che i genitori hanno in mente per lei), attraverso la vegetazione rigogliosa delle rive del fiume. È proprio la vegetazione, gli alberi secolari di canfora, i salici, i cespugli più anonimi, insieme alle acque del fiume, a incorniciare costantemente le piccole storie di ordinario dramma della famiglia ed è l’ambiente a riproporzionare le ambizioni, le opposizioni, le fratture. Qui, come nel rotolo di Huang Gongwang, sembra ci si voglia illudere che la figura umana e i segni della sua presenza non contano poi così tanto; qui come nell’immagine restituita da quel dipinto di più di seicento anni fa, è la natura a regolare le cose; noi siamo piccoli piccoli, e quel rotolo non è soltanto un’immagine antica con cui confrontare il presente, ma la partitura di un eterno ritorno.

Tiepide acque di primavera
Cina, 2019, 150'
Titolo originale:
Chunjiang shuinuan
Regia:
Xiaogang Gu
Sceneggiatura:
Xiaogang Gu
Montaggio:
Xinzhu Liu
Musica:
Wei Dou
Cast:
Zhenyang Dong, Hongjun Du, Wei Mu
Produzione:
Beijing Qu Jing Pictures
Distribuzione:
Movies Inspired

Il giorno del suo 70° compleanno, l’anziano membro della famiglia Gu si sente male. I quattro fratelli devono così affrontare cambiamenti cruciali per mantenere unita la famiglia. La storia dei loro destini, da questo momento, si intreccia allo scorrere del tempo e al cambiamento delle stagioni lungo il fiume in una città nel distretto di Fuyang: Hangzhou.

poster