Oltre le frontiere del tempo. Bergamo e San Pellegrino: due anime, due volti (cinematografici)

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La rassegna “Bergamo gotica e San Pellegrino liberty” inaugura il 1° luglio (fino al 2 settembre 2023) a Bergamo nel parco di Palazzo e Giardini Moroni, Bene FAI in Via Porta Dipinta 12 ed è parte del progetto “Cinema al cuore” promosso da FIC - Federazione Italiana Cineforum nell’anno della Capitale della Cultura. Programma completo qui

Bergamo e la sua provincia non hanno solo una storia antichissima, una topografia eccentrica – tutta a saliscendi – e uno sterminato patrimonio artistico, ma sono anche ricche di scorci, paesaggi e panorami sorprendenti, che sembrano fatti apposta per diventare set cinematografici. E in effetti nel corso degli ultimi ottant’anni – dal secondo dopoguerra a oggi – il territorio bergamasco, dalla pianura della Bassa alle valli più remote, è stato utilizzato come location di numerosissimi film, assumendo forme sempre diverse e cambiando continuamente pelle. Bergamo Alta innanzitutto: è soprattutto la possibilità di ricostruzione storica spesso praticamente a costo zero – potendo fare affidamento su edifici e monumenti che vanno dal medioevo comunale alla città borghese ottocentesca – a fare della Città Alta la location prescelta per tante produzioni nazionali e internazionali.

Come il recentissimo Chiamami col tuo nome (2017) di Luca Guadagnino, uno dei grandi successi del cinema italiano degli ultimi anni che, risalendo dalla bassa cremasca, include anche splendidi scorci della Val Seriana come Clusone e le cascate del fiume Serio. Ma d’altra parte il rapporto del territorio cremasco con quello orobico che il film evidenzia è lì a testimoniare un sistema di relazioni secolari che la geografia amministrativa recente non è riuscita a cancellare. E il fascino unico che Bergamo e la sua provincia, al di qua e al di là dei confini, esercitano su autori e sceneggiatori, ha fatto sì che esse diventassero ambientazione per storie molto diverse fra loro.

Un capolavoro della storia del cinema come L’albero degli zoccoli (1978) di Ermanno Olmi, girato in gran parte fra i paesi di Palosco, Cividate al Piano e Martinengo, nasce ad esempio da un’esperienza precisa e personale della vita di campagna, ma allo stesso tempo discende da una conoscenza del territorio maturata dall’autore in qualità di filmmaker aziendale per l’industria idroelettrica, che nelle alte valli aveva nel corso del secolo modificato il paesaggio con dighe e centrali. 

Nelle valli, un’altra impronta forte, almeno per quel che riguarda la Val Brembana, è quella generata dallo sfruttamento delle acque termali: fin dall’inizio del ‘900 a San Pellegrino sorgono il Grand Hotel e il Casinò Municipale, due capolavori del Liberty che ancora oggi suscitano un misto di meraviglia e nostalgia – non da ultimo per una stagione cosmopolita presto sospesa dalla guerra, una leggerezza mai più ritrovata.

La Città bassa invece, meno turistica ma non meno suggestiva, offre scenari quasi metafisici – effetto della riorganizzazione architettonica e urbanistica messa a punto durante il Ventennio fascista – e nel tempo ha ospitato opere rimaste nella memoria di generazioni di spettatori come Colpire al cuore (1983) di Gianni Amelio o La poliziotta (1974) di Steno.

Poi ci sono posti che sembrano location quasi scontate, sarebbe solo parzialmente corretto dire naturali, e altri che il cinema non lo hanno soltanto conosciuto e ospitato da vicino, ma sono in grado di evocarlo e richiamarlo attraverso infinite suggestioni. È il caso di Palazzo Moroni, alle porte della Città Alta (è presso Porta Penta, la Porta dipinta), uno scrigno che raccoglie e intreccia esperienze e opere degli ultimi quattro secoli, oltre a custodire un bellissimo giardino, dal quale si gode di una vista sorprendente sulla città.

Costruito per volontà di Francesco Moroni, il palazzo fu realizzato nell'arco di trent'anni, ultimato nel 1666. È un’architettura che rispecchia l’indole riservata che ritroviamo in tanti altri edifici della città: la facciata austera, quasi anonima, nasconde una struttura barocca raffinatissima, con la decorazione pittorica del cremasco Gian Giacomo Barbelli, e una serie di sale che ospitano tra l’altro opere di Giovan Battista Moroni. Soprattutto, non immagineremmo mai, oggi, che la vista che si gode dal piano nobile del palazzo è frutto di un progetto che vide l’acquisizione e distruzione del palazzo antistante, nel 1878. Una location da vedere, dalla quale vedere e, quest’estate, in cui vedere qualcosa in più del patrimonio normalmente ospitato. Con il progetto concepito da FAI e FIC, il Giardino di Palazzo Moroni, con la sua Ortaglia, diventa una piccola e suggestiva arena estiva, dove accanto a titoli che sono stati girati dentro il palazzo, in città o nel territorio bergamasco, vedremo altri che sono messi a dialogare con il palazzo stesso, con il suo spirito e con le opere che vi si conservano.

Come il film che apre la rassegna: Giulietta degli spiriti (1965). Una delle opere felliniane più visionarie e metafisiche, che attraverso il colore (mai usato prima dal regista riminese in un lungometraggio) assume una dimensione quasi sperimentale e accentua le tonalità barocche e fantastiche care al suo autore. Il gusto decorativo e ornamentale delle scenografie, la fastosità dei costumi e il lussureggiare della natura rendono Giulietta degli spiriti – di cui tutta la sequenza della protagonista con la medium è stata girata negli spazi del Grand Hotel di San Pellegrino Terme – un perfetto controcampo delle atmosfere che si respirano all’interno e all’esterno del palazzo.

Atmosfere che sono richiamate anche da un film solo apparentemente distante nel tempo e nello spazio: il capolavoro di Martin Scorsese L’età dell’innocenza (1993). Opera di enorme respiro visivo dentro la quale risalta la grande raffinatezza compositiva della regia di Scorsese, capace di regalare tagli di luce unici, ricchi di espressività e che richiamano una sensibilità esplicitamente pittorica – del resto è proprio un dipinto, Le carezze di Fernand Khnopff, a farsi metafora visiva dei complessi sentimenti in gioco. Ma è soprattutto la ricostruzione minuziosa e dettagliata degli interni ottocenteschi operata dallo scenografo Dante Ferretti a dialogare direttamente con Palazzo Moroni. Qui, in occasione della mostra “L’età dell’innocenza. Il Rinascimento di Bergamo e Brescia intorno al 1900” (13 luglio – 8 ottobre 2023) curata da Giovanni Agosti, verrà ricreata in una delle sale un ambiente di fine Ottocento, come se il palazzo si vestisse a festa per accogliere visitatori e conoscitori.

Un contesto molto simile, almeno per quello che concerne il periodo storico di riferimento, lo si ritrova ne L’innocente (1976), ultima opera – uscita postuma – di Luchino Visconti. L’ispirazione dannunziana e il sapore decadente che Visconti riesce infondere alla Roma umbertina dentro la quale il film è ambientato, restituiscono con grande efficacia il clima dell’Italia (e dell’Europa) di quel momento e periodo storico, dove accanto alla rappresentazione di una società al tramonto convivono le istanze e i mutamenti culturali della fin de siècle.

Maggiormente legate al territorio e alla geografia-topografia bergamasche sono invece i tre film che compongono la seconda parte della rassegna. A cominciare dall’opera che Dino Risi, sul finire degli anni Settanta, ambienta nel già citato Grand Hotel di San Pellegrino: Primo amore (1978). Il regista insieme allo sceneggiatore Ruggero Maccari fa del Grand Hotel una casa di riposo per artisti anziani, dove Ugo Tognazzi è Picchio, ex comico d’avanspettacolo che spera di rilanciarsi con il supporto di una bella cameriera interpretata da Ornella Muti. Lasciando così che la malinconia che traspare dalle austere architetture Liberty dell’edificio, diventi una sorta di sentimento umano, sovrapponibile a quelli che provano i protagonisti del film. 

E anche nell’episodio girato tutto a Bergamo Alta e diretto da Louis Malle all’interno del film collettivo ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe Tre passi nel delirio (1968) – che annovera un’altra incursione felliniana, insieme a quella firmata di Roger Vadim – i luoghi diventano profondamente dialettici. In questo segmento narrativo, intitolato di William Wilson, Alain Delon nei panni di un giovane ufficiale austriaco combatte con il proprio doppio fra i vicoli retrostanti Santa Maria Maggiore, le arcate del Palazzo della ragione e il Campanone. Sullo sfondo di una Piazza vecchia forse immortalata per la prima volta dalla pellicola a colori.

Ma Città Alta è location principale anche in Frankenstein – Oltre le frontiere del tempo (1990), ultimo film firmato dal maestro dell’horror Roger Corman. Un’opera incomprensibilmente dimenticata e confezionata dal regista con una troupe quasi tutta italiana dove spicca Enrico Tovaglieri: lo scenografo de L’albero degli zoccoli. Bergamo Alta è utilizzata per ricostruire la Svizzera del 1817 e sono proprio le sale affrescate di Palazzo Moroni ad ospitare la residenza del dott. Frankenstein, rivelando il lato sinistro e misterioso che l’edificio è in grado, forse insospettabilmente, di evocare.