Già presentato qualche settimana fa al DocLisboa, Reunión di Ilan Serruya è probabilmente tra i film, assieme a Sobre tudo sobre nada di Dídio Pestana, più toccanti e dolorosi visti al Festival de Cine de Sevilla, che ne conferma l’ottima programmazione.
Ilan Serruya si reca alla Isla Reunión (da qui il gioco di parole del titolo) per ritrovare il padre che, lasciata la famiglia, si è ritirato laggiù. Tanto più il dolore risulta sordo e pressoché irrisolvibile, quanto più ciò che viene a mancare tra padre e figlio è la parola.
Reunión è un film dove la parola è assente. E la mancanza della voce, del discorso, per dare una forma razionale e sensata alla sofferenza, lascia spazio ai luoghi, selvatici, quasi violenti, dell’isola, e ordinari, banali, della casa in cui il padre abita. Le cene silenziose, i due a tavola, uno di fronte all’altro, senza aprire bocca, quasi spaventati all’idea di dirsi qualcosa, fosse anche una banalità, sapendo che l’inizio di un discorso qualsiasi aprirebbe le porte a una serie di domande e spiegazioni e giustificazioni e biasimi senza fine. Allora ecco le cene mute, i bagni nella piscina, le passeggiate in solitaria, senza che tra i due si stabilisca un contatto.
Fin dall’inizio del film il regista mostra sé stesso seduto alla stessa tavola del padre, ma l’immagine è divisa in due da una colonna che li separa. Il figlio guarda per terra, il padre fuma guardando fisso davanti a sé. E pian piano la natura prende il sopravvento, quasi a lasciare in sospeso il non detto, la relazione tra i due. Ma i territori sono impervi e tutt’altro che gentili, come il legame tra Ilan e suo padre. Il paesaggio può essere una fuga e un rifugio. Un luogo in cui andare a nascondersi e dove stare in solitudine a riflettere.
Un’isola come la Reunión è sicuramente un posto che per la sua bellezza, ma anche per la violenza della natura che la abita, non può che diventare di prepotenza un terzo personaggio che in maniera nemmeno troppo celata, rappresenta simbolicamente i sentimenti che “incatenano” i due protagonisti, e tanto più i luoghi mostrati sembrano impervi tanto più risulta evidente la difficoltà di comunicare tra i due, benché, in realtà, non attendano altro.
Talvolta l’amore per l’altra persona, sia una madre o un padre, un figlio, un amico o un amante, è talmente complesso, contorto e doloroso, da non potersi esprimere, salvo banalizzarlo, normalizzarlo, renderlo buono per il mercato e la pubblicità. Allora di fronte al conflitto costante che pone le due parti in opposizione e in alterità permanente, meglio tacere, affinché la tensione rimanga “qualcosa” rispetto al “niente” di una normalizzazione.
Ci sono due immagini eloquenti, all’inizio e alla fine del film, che valgono assai più di qualsiasi spiegazione. Sono due gesti. Sono, anzi, il medesimo gesto ma agito in due contesti e da due persone differenti. All’inizio di Reunión vediamo Ilan Serruya nel bagno di casa sua tagliarsi i capelli con delle forbici di fronte a uno specchio. Se li accorcia, si taglia il ciuffo, se li sistema come meglio riesce. Alla fine del film vediamo il ragazzo che si lascia rasare i capelli dal padre con una macchinetta, quasi fosse un rituale, una purificazione, un nuovo inizio.
Non viene – fortunatamente e ovviamente – spiegato ciò che accadrà dopo, anche perché probabilmente è ancora in corso. Si lascia però all’intelligenza e alla sensibilità dello spettatore immaginare quanto sia doloroso e importante quel gesto, quanta fiducia e quanta dolcezza si celi dietro un padre che sorride guardando nello specchio il figlio che gli sorride a sua volta, lasciandosi finalmente andare. È un gesto che viene dall’infanzia, quando permettevamo a nostra madre o a nostro padre di entrare nella nostra intimità, mentre ci lavavano, ci pettinavano, ci vestivano per andare a scuola o per uscire, ci legavano il laccio di una scarpa poiché, per una questione di età, la coordinazione non era ancora padroneggiata a sufficienza. E probabilmente quel gesto infantile e familiare, quel sorriso un po’ imbarazzato tra padre e figlio, è il dialogo più potente che i due possano avere, il discorso più chiaro, semplice e amorevole.