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L’ultima edizione del FIPADOC di Biarritz, rassegna che offre il meglio del panorama mondiale del documentario, si è appena conclusa e le giurie hanno consegnato i loro verdetti. È stata un’edizione che ha sancito una scarsa attenzione alla produzione italiana di documentari al di fuori del nostro Paese, vista la scarsa rappresentatività riscontrata nelle sezioni più importanti del Festival. Infatti, troviamo solo il bellissimo Umberto Eco – La biblioteca del mondo, lavoro di Davide Ferrario su Umberto Eco e la sua straordinaria biblioteca presentato nella sezione principale del Festival dedicata ai documentari internazionali. Ferrario sviluppa delle idee di regia singolari che riescono a trasportarci nel mondo librario di Eco attraverso delle suggestioni visive emozionanti. Nella sezione dedicata alle “Histoires d’Europe” hanno trovato invece spazio solo le opere di Giulia Amati e Piergiorgio Curzi, rispettivamente con Kristos, l’ultimo bambino e Il sindaco, Mussolini e il museo. Nel primo lavoro, la regista Amati racconta la vita di Kristos, un bimbo di 10 anni che vive nell’isola di Arki nel Dodecanneso, unico studente dell’ultimo anno di scuola elementare alle prese con il grande dilemma se continuare gli studi lontano da casa o continuare a vivere lì occupandosi del gregge di famiglia. Il film di Curzi racconta invece il tentativo di Giorgio Frassineti, sindaco di Predappio, la cittadina in cui nacque Benito Mussolini, di istituire un museo per raccontare ciò che il Fascismo ha rappresentato per il suo territorio e per tutta la nazione.

Nel complesso i lavori presentati al FIPADOC hanno esplorato i temi più in auge in questi anni: dalle problematiche legate al clima e all’inquinamento, alle questioni pertinenti all’educazione giovanile e agli orientamenti sessuali, alle pagine di Storia che si trascinano sino ad oggi e che si riverberano anche nella questione Ucraina. Nei verdetti delle giurie purtroppo i lavori italiani non hanno ottenuto alcuna menzione e questo dovrebbe far riflettere coloro che lavorano in questo peculiare settore che sempre più spazio e importanza assume nel panorama della prodizione culturale mondiale. Nella sezione Documentari internazionali ha vinto il Grand Prix il film statunitense Crows Are White di Ahsen Nadeem. Il film racconta il curioso incontro tra il regista, nato in Arabia Saudita, e un monaco giapponese. Nel monastero dove il regista cerca risposte per la sua vita e una guida, l’unico monaco che lo accompagna nella sua ricerca e che parlerà con lui, è un emarginato che ama il gelato e l’heavy metal… Per quanto riguarda la produzione francese, il primo premio è andato a Moissons sanglantes – 1933 la famine en Ukraine, una tematica di sconcertante attualità poiché si tratta della narrazione del tentativo operato da Stalin nel 1933 di decimare la popolazione ucraina con una carestia pilotata. Il Grand Prix Documentaire è andato invece a North Circular del regista irlandese Luke McManus, peculiare esplorazione musicale, storica e culturale del quartiere dublinese conosciuto come North Circular Road. Infine, da segnalare per il secondo anno di seguito, una sezione dedicata ai podcast con ascolti collettivi in sala cinema e ascolti individuali. Una nuova forma di cinema da ascoltare invece che da guardare? Trent’anni esatti dopo Blue di Derek Jarman (1993), i festival si apprestano a fare i conti con una modalità di fruizione insolita, che ci crea una certa sorpresa, ma che sta prendendo sempre più piede e confermata da numeri ragguardevoli.