Il cigno nero di Darren Aronofsky

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Il cigno nero, il film di Darren Aronofsky che ha regalato a Natalie Portman un premio Oscar, sarà trasmesso questa sera, domenica 25 giugno, su Raitre alle 21.05. Per l'occasione, riproponiamo il pezzo che Roberto Manassero scrisse per il n. 498 di Cineforum, dopo la presentazione del film alla Mostra di Venezia del 2010.


Con il successo un po’ casuale di The Wrestler (Leone d’oro alla Mostra di Venezia del 2008), Darren Aronofsky sembra aver trovato la quadratura del cerchio. Anche Il cigno nero, come il precedente lavoro, è un film sull’ossessione del corpo. Lavoro personale e quasi teorico nella sua elementarità, è nuovamente un film costruito sulla pelle della sua interprete, Natalie Portman, la cui figura minuta si pone come contraltare del fisico monumentale e cadente di Mickey Rourke. Ma dove in The Wrestler l’avvicinamento alla morte era uno sforzo vitalistico, qui il raggiungimento dello scopo di una vita segna l’incontro con la morte.

In questo senso, Il cigno nero è un’opera più coraggiosa e rischiosa, con cui Aronofsky giunge al nodo cruciale, quasi necrofilo, del suo cinema dipendenza e l’autodistruzione. È la morte, o meglio la seduzione del limite che separa da essa, la vera protagonista dei suoi film: e Il cigno nero è un film che si fa attrarre dal limite, che lo affronta e lo supera, che si avventura con coraggio anche laddove è pericoloso avventurarsi. E se ancora in The Wrestler il salto nel vuoto era lasciato fuori campo, qui è mostrato nelle sue conseguenze estreme, atterraggio morbido nella finzione dello spettacolo, esito tragico nella verità della vita e dell’ossessione che la governa.

La passione per la danza e la fissazione della protagonista, una ballerina di New York, per Il lago dei cigni di Chajkovskij sono le uniche realtà che contino. Aronofsky sceglie di restare vicino al corpo e alla pelle del suo personaggio, segue i movimenti della protagonista e rinuncia a ogni possibile trama per fare del corpo della Portman la sola presenza concreta del film. E se da un lato lo esalta nella sua unicità con lo sguardo nervoso tipico dell’indie (camera a mano, fotografia dalla grana sporca, ambienti metropolitani cupi), dall’altro lo intrappola in una dualità da cinema classico, tra visioni e doppi da thriller psicologico e scontri tra freddezza ed erotismo, tra cigno bianco e cigno nero.

Il progredire di eccesso in eccesso, di simbolo in simbolo, fa di Il cigno bianco un racconto troppo letterale per essere appassionante, ma al tempo stesso porta il suo autore allo scontro definitivo con la fonte della sua ispirazione e quindi al cuore stesso del suo cinema.