Moonrise Kingdom di Wes Anderson

focus top image

Questa sera su Rai 5, alle 21.15, uno dei migliori film di Wes AndersonMoonrise Kingdom. Ecco la recensione che Emanuela Martini scrisse dal festival di Cannes del 2012 e sul n. 515 di Cineforum.


L’isola di New Penzance, al largo delle coste del New England, non esiste. Ma esiste la sua mappa, che vediamo all’inizio di Moonrise Kingdom e che ci viene descritta in maniera dettagliata da un ometto con un montgomery rosso, l’attore e regista Bob Balaban nella parte del bizzarro narratore. Ricostruita in diverse location, l’isola di New Penzance, con il suo faro, il campo scout, le insenature, i prati, i boschi, è una specie di “isola del tesoro” o meglio, eccettuate sirene e pirati, di Isola-che-non-c’è, il luogo mentale per eccellenza della coming of age, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.

Sam e Suzy hanno dodici anni, si sono incontrati l’anno prima, è stato amore a prima vista e hanno deciso di fuggire per andare a vivere insieme. Moonrise Kingdom è la storia di questa fuga, dello scompiglio in cui getta i già straniti abitanti dell’isola, del ciclone che ne sottolinea le fasi più salienti. Una piccola storia d’amore impregnata di malinconia e di tenerezza, dove gli adulti si confrontano con le loro frustrazioni e inadeguatezze e i ragazzi imparano a crescere senza dimenticare i loro sogni.

Siamo, come sempre, dalle parti dei Tenenbaum, o dei fratelli Whitman in viaggio per Darjeeling o della famiglia Fox, con più di un ricordo dei giovani protagonisti del primo film di Anderson, Rushmore. I ragazzi sono più sensibili e morali degli adulti, i genitori sono in crisi di coppia, le femmine più mature dei maschi coetanei: Sam, con il suo berretto alla Davy Crockett, ha un piglio deciso, è equipaggiato di tutto punto e sa certamente badare alla sua compagna, ma Suzy si trucca gli occhi alla moda dell’epoca (siamo nel 1965) e porta con sé nella fuga oggetti solo all’apparenza inutili, come i libri d’avventure, il mangi a dischia pile– con pile di ricambio – e i45 giri di canzoni pop francesi, e invita Sam a ballare con lei Le temps de l’amour, lato B del celeberrimo Tous les garçons et les filles di Françoise Hardy.

Raffinato tocco da intenditore, in un film che peraltro dichiara fin dall’inizio di essere costruito sulla musica, con la voce off che spiega le famiglie degli strumenti musica- li: è The Young Person’s Guide to the Orchestra, composta da Benjamin Britten nel 1946, che costruisce variazioni individuali per i legni, gli archi, gli ottoni, le percussioni, per poi riunirli tutti in una Fuga su un tema di Purcell. E nel frattempo vediamo, come attraverso la sezione di una casa di bambola, i diversi componenti della famiglia Bishop intenti alle loro attività quotidiane.

Ma la musica (che prosegue ricchissima, con altri brani di Britten, intercalati soprattutto al country blues di Hank Williams) è solo uno degli elementi della raffinatissima partitura visivo-sonora messa a punto da Anderson: dalla certosina ricostruzione ambientale alla definizione dei caratteri attraverso gesti e abiti (geniale l’assistente sociale “strega cattiva” di Tilda Swinton, tutta rigida in una divisa che ricor- da l’Esercito della salvezza ma anche, forse, la Cattiva Strega dell’Ovest), Moonrise Kingdom è un piccolo arazzo perfetto che racchiude al centro un amour fou adolescente fatto di follie, di imbarazzi, di giuramenti eterni.

Surreale e ironico, affidato a un cast solidissimo (Bill Murray, Frances McDormand, Ed Norton nella parte di un ufficiale degli scout pasticcione, Bruce Willis in quella del poliziotto dal cuore d’oro, e i due esordienti Kara Hayward e Jared Gilman), tutto avvolto nella malinconia del tempo, dell’ingenuità, degli amori perduti, ci fa rimpiangere tutto quello che siamo stati e che avremmo voluto essere.