Settimana Internazionale della Critica

Eles transportan a morte di Helena Girón e Samuel M. Delgado

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1492, l’anno della scoperta dell’America, l’inizio dell’epoca in cui la Storia può abbracciare il mondo intero. Eles transportan a morte scava nel passato per ricercare l’origine fondativa e mitizzante del contrasto tra Vecchio e Nuovo Mondo, guardando alla storia del colonialismo per interpretarne i risvolti presenti. Il viaggio delle caravelle di Cristoforo Colombo, da questo punto di vista, rappresenta un momento di rottura per l’umanità, una spaccatura nel processo di formazione dell’identità moderna.

Il primo lungometraggio di Helena Girón e Samuel M. Delgado prende le mosse da un evento ben preciso per muoversi al di là del suo mero svolgimento, operando ai suoi margini per decostruirne l’orizzonte segnico. Eles transportan a morte racconta infatti la fuga nelle Isole Canarie di un gruppo di uomini dall’equipaggio di Colombo, rei di aver rubato la vela di una delle navi. Parallelamente, una donna cerca di salvare la sorella morente nel Vecchio Mondo. Gli uomini sono partiti, mentre le donne sono rimaste. Quando gli uomini torneranno, le donne verranno etichettate come streghe. Tra i due racconti, l’eruzione del vulcano Teneguía del 1971: le fiamme divampano, la Storia collassa.

Nel film, la temporalità non scorre linearmente, il dominio principale è della natura, dalla forza distruttiva del fuoco sino ai rovi che lacerano il corpo e scuotono l’animo. Le pieghe del tempo, invece, sono già state compromesse dalla presunzione della conquista, dall’esportazione della sofferenza, dal voler condurre la morte all’interno dei confini del Nuovo Mondo. Così, il tentativo di impedire il viaggio di Cristoforo Colombo si presenta come un’azione intrinsecamente politica, un gesto di ribellione disperato dinanzi ai processi irreversibili della Storia.

Allo stesso tempo, il discorso sulla morte di Girón e Delgado possiede anche una matrice più spirituale, veicolata in particolar modo dai tentativi della donna di salvare la propria sorella. Nella figura femminile viene centralizzata la possibilità di ricorrere al potere salvifico della cura, relegando all’uomo l’esercizio della volontà di potenza e della sottomissione dell’alterità. Il punto interrogativo e chiave di svolta, a questo punto, è semplice da comprendere: perché diffondere il dolore se l’inevitabile raggiungimento della fine è già una parte costitutiva ed ineliminabile dell’umanità? La morte, in quanto perdita, appare di fatto come il vero – e forse unico – dramma della condizione umana. In tanti hanno vissuto prima di noi e con noi, compresi i nostri amici e i nostri familiari («se solo per un’ora, per un istante, potessero tornare da noi»), e in tanti verranno in futuro, ma il destino ultimo sarà lo stesso per tutti.

Eles transportan a morte riflette dunque sulla mortalità a partire dal microcosmo rappresentato dai singoli eventi raccontati nel suo intreccio e arrivando poi alla messa in scena di un aspetto invece più universale, in grado di trascendere ogni possibile temporalità. Tutto ciò con una visione anti-colonialista di fondo che mira a riportare l’attenzione sui tratti essenziali dell’umanità, affiancata da una ricerca estetica dal sapore mistico e magico che si dimostra capace di restituire allo spettatore numerose sequenze estremamente visionarie, graffianti e folgoranti, con il fuoco primigenio che infine riempirà lo schermo per riportarci ad essere una parte del tutto.