Affinità selettive

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Affinità selettive

Una resa spirituale

Bling Ring non è il miglior film della Coppola. Lei come al solito sa quel che fa, ma stavolta sembra farlo in modo più svogliato, meno formalista e concettuale. Proprio per questo, però, perché è piatto e senza profondità, Bling Ring scandaglia il vuoto di rappresentazione della società dello spettacolo, che poi è da sempre il tema chiave del cinema della Coppola.

Il mondo delle star di Hollywood, che da profani mortali crediamo inaccessibile e inarrivabile, è in realtà lì, alla portata di tutti, su Google, con le porte aperte, le chiavi sotto lo zerbino, i vetri che mettono in vista la ricchezza, e la città che li ingloba è una vetrina orizzontale, immersa in una luce biancastra che riflette e nullifica. Una città, Los Angeles, che tutti vediamo, che esiste per essere guardata, e che nessuno vede. Come il video di sorveglianza su cui si apre il film, che da solo dovrebbe dissuadere i protagonisti dallo svaligiare le case de vip, o convincere tutti della loro colpevolezza, e che invece, messo lì all’inizio, non conta nulla, è come se riprendesse il vuoto.
 


La piattezza abbagliante di Los Angeles, ancor prima di Bling Ring, mi ha sempre fatto pensare alla «stalla più fotografata d’America» di De Lillo. La si trova in Rumore bianco, è un luogo che tutti fotografano, tutti guardano, e ovviamente nessuno vede. Da allora, era il 1985, sono passati quasi trent’anni e per quanto oggi Rumore bianco, più che un romanzo, sembri un tutorial sulla società contemporanea, la sua preveggente riflessione sullo sguardo e la realtà continua ad adattarsi perfettamente a quello che (ancora) ci sta attorno. 

Diversi giorni più tardi Murray mi chiese notizie di un’attrazione turistica nota come la stalla più fotografata d’America. Quindi facemmo in auto ventidue miglia nella campagna che circonda Farmington. C’erano prati e orti di mele. Bianche staccionate fiancheggiavano i campi che scorrevano ai nostri fianchi. Presto cominciarono ad apparire i cartelli stradali, LA STALLA PIÙ FOTOGRAFATA D’AMERICA. Ne contammo cinque prima di arrivare al sito. Nell’improvvisato parcheggio c’erano quaranta auto e un autobus turistico. Procedemmo a piedi lungo un tratturo per vacche fino a un lieve sopralzo isolato, creato apposta per guardare e fotografare. Tutti erano muniti di macchina fotografica, alcuni persino di treppiede, teleobiettivi, filtri. Un uomo in un’edicola vendeva cartoline e diapositive, fotografie della stalla prese da quello stesso sopralzo. Ci mettemmo in piedi accanto a una macchia di alberi a osservare i fotografi. Murray mantenne un silenzio prolungato, scribacchiando di quando in quando qualche appunto in un quadernetto.

- La stalla non la vede nessuno, - disse finalmente. Seguì un lungo silenzio.

- Una volta visti i cartelli stradali, diventa impossibile vedere la stalla in sé.

Quindi tornò a immergersi nel silenzio. La gente armata di macchina fotografica se ne andava dal sopralzo, immediatamente sostituita da altra.

- Noi non siamo qui per cogliere un’immagine, ma per perpetuarla. Ogni foto rinforza l’aura. Lo capisci, Jack? Un’accumulazione di energie ignote. Quindi ci fu un lungo silenzio. L’uomo nell’edicola continuava a vendere cartoline e diapositive.

- Trovarsi qui è una sorta di resa spirituale. Vediamo solamente quello che vedono gli altri. Le migliaia di persone che sono state qui in passato, quelle che verranno in futuro. Abbiamo acconsentito a partecipare di una percezione collettiva. Ciò dà letteralmente colore alla nostra visione. Un’esperienza religiosa, in un certo senso, come ogni forma di turismo.

Don De Lillo, Rumore bianco, Einaudi (trad. Mario Biondi)



PS: facendo un po’ di ricerca si scopre che in effetti esiste per davvero – o meglio fanno in modo che esista – «la stalla più fotografata d’Amerca»: sarebbe il Moulton Barn, non lontano dal Grand Teton National Park, nel Wyoming. Questo qui sotto:


E se ci togli i fotografi, e ci aggiungi – non visti – gli spettatori di Bling Ring, più i milioni di occhi umani e digitali che rafforzano giorno dopo giorno l’aura di Los Angeles, e in generale dello spazio americano, le due immagini, la stalla qui sopra e la villa milionaria qui sotto (visibile, trasparente, in mostra), diventano, anzi sono la stessa cosa.