I 90 anni del Rex

Amarcord di Federico Fellini

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Il primo agosto di novant'anni fa veniva varato il transatlantico Rex. Simbolo di innovazione ingegneristica, di modernità e di lusso, assurse per tutto il decennio ad un'aura quasi mitica. Per questa ragione in Amarcord di Federico Fellini il Rex figura, assieme alla nevicata e al passaggio della Mille Miglia, come un'apparizione scesa da sfere quasi ultraterrene a spezzare la monotonia della vita di provincia nella Rimini dei ricordi di gioventù del regista. È curioso sapere che in realtà il Rex in quegli anni non passò mai in Adriatico. L'unica volta che vi arrivò fu per il suo ultimo viaggio nel 1944: qualche mente brillante pensò che sarebbe stato più al sicuro attraccato nei pressi di Capodistria, con il risultato di renderlo al contrario più esposto ai bombardieri della Raf, che in effetti riuscirono ad affondarlo. Ma poco importa. Si sa che se storia e leggenda si incontrano, vince la leggenda. Ciò valeva per John Ford, figuriamoci per Fellini, soprattutto quando il regista riminese affrontava i suoi ricordi di gioventù. Su Amarcord, Roberto Escobar ha scritto una scheda sul numero 131, aprile 1974, di «Cineforum», che qui riproponiamo.


Il ricordo

Se si può dire che in genere il cinema di Fellini nasca essenzialmente dal recupero che l'autore fa del proprio passato, tutto questo sembra ancor più vero per Amarcord, nel quale lo stesso titolo indica la dimensione, appunto, del ricordo. La memoria poetica non è il semplice riaffiorare del tempo trascorso. Ciò che la distingue dalla riesumazione dei fatti è la capacità di infrangere la distinzione delle·forme temporali. Nel presente il passato è rivissuto ed è capace di incidere su di esso dandogli valore. Contemporaneamente lo stesso valore del passato viene dal presente, dall'attimo nel quale è rievocato. Il tempo dell'orologio, quello che conosce una sola direzione e nel quale il presente è solo un confine effimero ed inafferrabile che segna il continuo precipitare di ciò che non è ancora in ciò che è già stato, è privo di significati umani. Il tempo della coscienza crea questi significati proprio perché è capace di interrompere questo divenire indistinto e di intraprendere un cammino in senso contrario, per ripensare e valutare.

È persino superfluo verificare tutto ciò riandando a film come I vitelloni, Otto e mezzo o Giulietta degli spiriti. Piuttosto converrà rilevare che il ricordo gioca un ruolo importante, anche se meno appariscente, in un film come La strada. A parte ciò che in esso l'autore stesso ricorda, quel che dava al film il suo valore più profondo era l'attimo nel quale Zampanò nel suo presente improvvisamente sentiva rivivere Gelsomina. Il ricordo della ragazza, in quanto confronto e compresenza di presente e passato, era molto più significativo che non la stessa vita con lei. L'Augusto di Il bidone, allo stesso modo, vive in sé il dissidio di un presente che contrasta nettamente con un passato che non è capace di cancellare: lo stesso dissidio tornava poi in La dolce vita, ampiamente evocato dalla figura del padre del giornalista. Nello stesso Satiricon il tema centrale era dato dalla ricerca di un passato ormai smarrito. In Roma, poi, molti hanno visto un netto declino di Fellini (e certo non è questo il suo film migliore) proprio perché non hanno saputo sentire che il discorso su una città era solo l'occasione per un discorso sul ricordo o sui ricordi che un uomo porta con sé.

Se tutto questo è vero, allora Amarcord non fa altro che riprendere il motivo conduttore di tutti o quasi i lavori precedenti e portarlo anche esplicitamente in primo piano. Se prima il ricordo forniva prevalentemente i contenuti sui quali Fellini costruiva i suoi film, ora è diventato esso stesso, in quanto atteggiamento umano, il contenuto. Un'immagine in questo film sembra confermare ciò che si dice qui: davanti al Grand Hotel chiuso per l'inverno gli adolescenti del Borgo sognano un mondo fantastico lontano dalla mediocrità quotidiana della provincia, proprio come i vitelloni. L'accenno agli inizi anche se non proprio agli esordi, del suo cinema sembra servire a Fellini per dimostrare che la sua arte nasce all'interno del ricordo. In questo senso Amarcord non fa altro che portare a compimento il tentativo frammentario e poco riuscito della prima parte di Roma e quello molto più convincente della prima parte di clown (nel quale, tra l'altro, esattamente come in Amarcord, il ricordo è anche ricordo di un cinema ormai finito, colto nel suo significato di costume e rievocato con una certa nostalgia disincantata).



La cattiva coscienza

Difficilmente la memoria poetica è tranquilla e felice: non è un caso che il ripiegarsi su se stessi alla ricerca di se stessi caratterizzi l'espressione artistica di periodi e di uomini decadenti. Chi sente in sè l'urgenza di un compito da realizzare, chi è capace di trarre questo compito dalla sua classe in ascesa, quando rievoca il passato lo fa solo in quanto in esso·ritrova il futuro, la·potenzialità e le ragioni del futuro. In questo caso evidentemente l'elemento caratterizzante dell'arte non è la memoria: questa semmai è subordinata ad un atteggiamento opposto, che si proietta in avanti nel senso della storia.

La memoria poetica di Fellini non fa eccezione: la compresenza di presente e passato in lui è continuamente dominata da un diffuso (anche se difficilmente diventa tragico) senso di colpa. Si potrebbe forse dire che in lui il passato incatena il presente, in quanto a questo sembra incessantemente rimproverare qualche cosa. Questa cattiva coscienza è l'espressione di un'esperienza personale e particolare, situabile con molta precisione in un certo spazio e in un certo tempo, e del resto Fellini non ha mai preteso con i suoi film di giungere al fondo di una qualche natura dell'uomo. Tuttavia io credo che la sua sia pur sempre emblematica di una più vasta esperienza, quella che è stata ed è peculiare della piccola e medio piccola borghesia provinciale e cattolica. L'incapacità di prescindere da un passato castrante esprime il torpore intellettuale e la repressione sessuale e culturale di tutta una struttura sociale. Fellini ha in più, rispetto a tutto ciò, la capacità di rendersi conto del fatto che torpore e repressione sono inaccettabili: non ha certo quella di superarli completamente.

Nei suoi film il ricordo (che sia il suo o quello dei suoi personaggi non ha molta importanza) è sempre qualificato come contrasto tra un presente disordinato e vagamente immorale ed un passato nel quale si colloca l'ordine e la moralità. Tutto questo ha un suo preciso significato storico e sociale: resta vero però che a Fellini interessa unicamente nella sua dimensione individuale e psicologica. Moraldo sente che la propria vita da vitellone contrasta con il modello piccolo borghese, pulito e tranquillo nella sua mediocrità, che gli è stato proposto attraverso l'educazione. Il proprio presente di vitellone lo angoscia proprio sulla base del suo passato e di quell'esigenza moralistica che questo gli ha instillato. Tuttavia sente l'angustia di questo moralismo e del mondo che gli sta dietro: dal conflitto che così nasce cerca di fuggire andandosene a Roma. Questa fuga non è una soluzione: nella grande città inevitabilmente porta con sé il suo problema, che ne fa un decadente alla ricerca di una mitica redenzione. Ed infatti lo ritroviamo puntualmente, sotto nomi diversi, in tutti i film che seguono I vitelloni.

La cattiva coscienza che qualifica così nettamente tutti i personaggi di Fellini viene affrontata esplicitamente in Otto e mezzo e in Giulietta degli spiriti, dove se ne indica la matrice fondamentale, la repressione sessuale, la quale a sua volta è ricondotta alla sua origine sociale e religiosa. La repressione sessuale torna come uno degli elementi di Amarcord. Apparentemente in questo film non si aggiunge nulla rispetto ai precedenti: si tratta sempre di una accusa, neppure troppo originale, alla paura che in certi ambienti circonda la sessualità, paura che si accompagna ad una lasciva morbosità che si comunica dagli educatori agli educati. In realtà qualche cosa di essenzialmente diverso c'è: è l'atteggiamento con il quale le stesse cose sono raccontate. Nei lavori precedenti c'era l'attacco al mondo responsabile della repressione e della deformazione psicologica e, soprattutto in Giulietta degli spiriti e in Satiricon, l'indicazione del suo superamento. Ora invece, insieme con il rammarico per la distruzione parziale della potenzialità di vita nella quale consiste spesso la cosiddetta educazione sessuale, c'è un più netto senso di distacco, come se il superamento, in qualche modo facilitato dallo scorrere del tempo, fosse ormai compiuto.

Ciò che appare molto meno superato è un altro aspetto della cattiva coscienza. La morte di Miranda, madre di Titta, si trasforma per lui e per lo spettatore in un rimprovero postumo, e perciò tanto più doloroso, per tutto ciò che figli e marito avrebbero o non avrebbero dovuto fare per lei. Anche Marcello in Otto e mezzo (e il discorso potrebbe essere allargato in via analogica a molti altri film) è ricattato dal ricordo dei genitori morti. Abbandonare, meglio non condividere più acriticamente il tranquillo e piccolo mondo della provincia equivale a rifiutarne i valori meschini, i quali tuttavia appaiono gli unici puliti e che comunque, per chi sia stato cresciuto in essi, sono gli unici tranquillamente accettabili. Se la repressione sessuale può essere abbastanza efficacemente contrastata, il passato può prendersi la rivincita con lo strumento più subdolo e sicuro, gli affetti familiari e il loro altissimo potenziale ricattatorio. Per Fellini vale la regola per cui la tradizione e perciò la conservazione passano anche attraverso la figura paterna e materna, cioè attraverso il ricordo che lega un figlio ai genitori.

Il futuro, la speranza, il fantastico

Moraldo che parte per Roma esprime compiutamente quale sia in Fellini (quantomeno nel suo cinema) il valore del futuro: sinteticamente si può dirlo mitico. Il futuro di Moraldo è in effetti solo la speranza di riconquistare sotto un cielo diverso ciò che si è lasciato dietro le spalle. La buona coscienza, la tranquillità del mondo che ha rifiutato ora le proietta davanti a sé facendole diventare desiderio di purezza e di redenzione. Per un artista piccolo borghese e decadente il futuro non può avere connotazioni realistiche: esso è solo lo stratagemma di cui ci si serve per riconquistare, meglio sperare di riconquistare sotto forme e nomi cambiati un passato che si è rifiutato e tuttavia continua a dominare.

Delle tre forme temporali, dunque, in Fellini il presente non vale mai per se stesso ma solo in quanto rimanda alle altre due. I personaggi dei suoi film non accettano la loro vita così come questa è; al contrario la confrontano con un passato mitizzato in quanto sopravvalutato e la proiettano in un futuro che del passato ha tutte le caratteristiche mitiche. La stessa apertura verso la riconquista di una dimensione perduta, di un paradiso che una oscura colpa sembra aver per sempre annullato, è data dall'improvviso irrompere del fantastico. Tra i numerosissimi esempi, basterà ricordare lo stupore pieno di implicite promesse che “la nonna piccola” suscita nella Gelsomina di La strada. Il futuro promette la riconquista del paradiso perduto proprio perché è lontano da un presente meschino: il fantastico è anch'esso (e forse più) lontano, è capace perciò di schiudere orizzonti tanto imprevedibili quanto puri, cioè incontaminati dal vivere quotidiano. Il fantastico, che in tanti film consisteva magari in una bella donna che sussurrava qualche parola in inglese o in francese (ecco una riprova del provincialismo), in Amarcord torna attraverso il mondo che gravita attorno al Grand Hotel, attraverso la mitomania di Biscein, torna nella piccola monaca che convince lo zio matto a scendere dall'albero e ancora nella immensa e incombente sagoma del Rex. Quel che una volta di più distingue questo dagli altri lavori è la consapevolezza del significato del fantastico da parte dell'autore e quindi l'ironia e l'autoironia bonarie che stanno dietro e nelle immagini.