A cura di Emanuela Martini

Bad Girls - Parte 10

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2006 — Miranda Priestley

Nessuna al mondo sa scaraventare come lei borsetta e soprabito sulla scrivania della sua assistente. Nessuna sa essere così telegraficamente tagliente («Floreale? Per la primavera? Rivoluzionario!»). Nessuna sa dirti con uno sguardo silenzioso quanto tu sia cheap, dalla testa ai piedi. Meryl Streep scelse il tono di voce (basso) di Clint Eastwood e il sense of humor (altissimo) di Mike Nichols per dare vita alla ferrea, temuta, geniale direttrice della rivista di moda «Runaway» in Il diavolo veste Prada di David Frankel, dal romanzo di Lauren Weisberger (che si era ispirata ad Anna Wintour, la leggendaria direttrice di «Vogue America» di cui era stata assistente). Dopo essere stata la spregevole mamma di The Manchurian Candidate di Jonathan Demme, Streep si allena per la parte della Iron Lady Margaret Thatcher.

 

2008 (e 1939) — Crystal Allen

La commessa del banco dei profumi, cinica cacciatrice di denaro e mariti altrui, nasce in realtà nel 1936 dalla penna affilata di Clare Booth Luce e dal palcoscenico si trasferisce sullo schermo nel 1939, in Donne, regia di George Cukor, sceneggiatura di Anita Loos e Jane Murfin. Letteralmente “all-women film”, dove appare un maschio solo di spalle. Come The Women, il remake di Diane English, meno acido e fulminante, un po’ appiattito dal perbenismo, che invece non bloccava le lingue biforcute dei 30’s. La meno brillante del mazzo è anche la più sexy, la più rozza e la più sfacciata. Crystal, appunto, una Joan Crawford che sfodera artigli da pantera per Cukor e una Eva Mendes che gioca su palesi attributi naturali per English. Vincono Crawford e Cukor naturalmente. Perché allora si poteva essere davvero cattivi/e.

 

2016 — Lady Macbeth

La madre di tutte le dark lady, istigatrice di molti omicidi, senza un passato (checché ne pensi Justin Kurzel nel suo mediocre film del 2015), bramosa di potere e corona, quella che apostrofa il marito: «Brama d’esser grande tu l’hai e l’ambizione non ti manca; ma ti manca purtroppo la perfidia che a quella si dovrebbe accompagnare». Ci pensa lei a instillargliela, nella tragedia scozzese (per chi non lo sapesse, non porta bene nominarla) scritta da Shakespeare tra il 1605 e il 1608, tradotta molto in cinema. Tante le lady che si sono ossessivamente lavate le mani dal sangue sullo schermo, dall’autoritaria Jeanette Nolan nella versione espressionista di Orson Welles, a Francesca Annis in quella noir di Polański, a Marion Cotillard in quella di Kurzel. Ma su tutte spicca, rotonda ed enigmatica, la giovane Florence Pugh in una sorta di spin-off: il film di William Oldroyd tratto dal racconto di Nicolaj Leskov Lady Macbeth del distretto di Mcensck, dove una fanciulla sepolta in una magione di campagna da un matrimonio d’interesse con un giovane prepotente e forse impotente, non solo presto si trova giustamente un amante, ma poi avvelena il suocero, uccide il marito e ne soffoca il figlio illegittimo di sei anni. Infine fa ricadere tutte le colpe sul suo amante. Resta sola nel suo palazzo. Ma è incinta. Se la caverà.