A cura di Emanuela Martini

Bad Girls - Parte 3

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1945 — Ellen Berent

Dietro la purezza del volto di Gene Tierney si nascondevano molti segreti, vertigini, peccati, ma nessuna delle sue donne inafferrabili, né tra le oscure amnesie di Laura (Preminger, 1944) né tra gli equivoci Misteri di Shanghai di Sternberg (1941), è precipitata negli abissi della Femmina folle creata da John Stahl: occhi azzurri nascosti dagli occhiali da sole, lascia annegare nel lago un ragazzino disabile, poi si butta da una scala per abortire, infine si suicida lasciando una lettera in cui incolpa della propria morte la sorella. Tutto per amore, troppo amore, tutto senza incrinare la sua faccia d’angelo. Capolavoro che porta a conseguenze estreme e letali la follia amorosa del mélo.

 

1946 (e 1943 e 1981) — Cora Smith

Anche Cora appare nella prima scena vestita di bianco, come la fiamma del peccato Phyllis, forse è più sexy, ma anche meno manipolatrice. Pantaloncini e turbante, Lana Turner è la moglie adultera e poi assassina di Il postino suona sempre due volte, torrido romanzo del ’36 di James Cain, nella versione di Tay Garnett, mentre Jessica Lange le dà corpo più carnale e desiderio più esplicito in quella anni 80 di Rafelson. Ma prima ancora Cora fu in nero, grembiule e paura di sfiorire in un buco della Bassa Padana, in Ossessione di Visconti, o dalle parti di Marsiglia, in golfino e gonna da poco, Corinne Luchaire in Le dernier tournant (1936) di Pierre Chenal. Un personaggio crudele per disperazione e patetico per predestinazione. 

 

1946 — Kitty Collins

Non doppio, ma triplo, quadruplo gioco: ci prova con tutti, Kitty, ammansisce gli uomini con sguardi ora provocanti ora innocenti, reinventa i flashback a proprio vantaggio, beve latte con i poliziotti e whiskey con i malviventi: Ava Gardner esplode nella sua prima parte importante nei Gangsters di Robert Siodmak, noir claustrofobico e labirintico tratto da uno dei racconti più folgoranti di Hemingway. In nero, versione statuaria della dark lady, gli occhi verdi più belli apparsi sullo schermo, passa da un gangster all’altro, li istiga, li tradisce tutti e, alla fine, cerca di ottenere uno spergiuro che la salvi da un amante e complice ferito a morte. La più indifferente, la più atona, la più pericolosa.

 

1947 — Elsa Bannister

Metti una sera in Central Park, una sconosciuta bellissima, ricca e suadente ti offre un lavoro su uno yatch che navigherà attraverso il canale di Panama fino a San Francisco. Difficile rifiutare, soprattutto se sei un marinaio disoccupato e se lei ha il corpo e il viso (ma non i capelli) di Gilda e un marito anziano e storpio. Per La signora di Shanghai Orson Welles le tagliò i capelli e glieli tinse di biondo, iniettandole una dose di freddezza che Rita Hayworth non aveva mai avuto, nemmeno quand’era stata Doña Sol, l’incurante divoratrice di toreri di Sangue e arena (Mamoulian, 1941). Colpevole senza rimorsi, attraversa un film che è un incubo spandendo morte, seduzioni e inganni.