Fuori Concorso

Logan di James Mangold

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Prima di ogni cosa, il titolo: Logan. Non Wolverine, non X-Men. Solo Logan.

Poi, un passo indietro per tornare con la mente a quell'X-Men di Bryan Singer che nel 2000 gettava le fondamenta per quello che oggi è il genere di blockbuster hollywoodiano più sfruttato,  più redditizio e più abusato in assoluto: il cinecomic. Lì Logan diventava Wolverine; da quel momento in poi decine e decine di film sui supereroi hanno riempito i cinema. «Quando tutti saranno super, nessuno lo sarà più» diceva il cattivo de Gli incredibili; oggi, in un certo senso, siamo arrivati a questo punto: i supereroi continuano a combattere tra di loro, ormai incapaci di infondere la speranza nelle persone e di assumere il ruolo di modelli da seguire. E così, al personaggio che in un certo senso ha aperto questo vaso di Pandora, viene chiesto di provare a fare un passo indietro e di tornare ad essere, semplicemente, un eroe.

Oggi - o meglio, in un futuro non troppo lontano - Logan si è adattato a fare l'autista di limousine sul confine tra gli Stati Uniti e il Messico. Il suo corpo non è più quello de "l'immortale": porta i segni del tempo e delle ferite che ormai faticano a rimarginarsi. Con lui, il professor Xavier, che ha perso il controllo dei propri poteri, diventando sempre di più un pericolo per se stesso e per gli altri. Gli X-Men sono solo un lontano ricordo, delle semplici storie raccolte in qualche vecchio fumetto. Poi, all'improvviso, una donna disperata che cerca il leggendario Wolverine per portare in salvo una bambina in pericolo. Una bambina speciale, che ricorda il vecchio Logan del 2000: forte, veloce, letale, spaesato, ma incredibilmente al passo con i tempi.

Un'ambientazione e un incipit quasi da film western, quelli scelti da James Mangold: è da qui che bisogna ripartire. Dall'America più profonda e dal genere cinematografico che più di ogni altro ha saputo restituirne lo spirito e forgiarne l'immaginario; da un viaggio attraverso un paese cambiato, profondamente ferito e senza speranza, che prima di qualsiasi altra cosa vuole mettere in evidenza la totale assenza di una guida, di un esempio, un modello, un eroe. Qui Logan è costretto ad accettare una missione che innanzitutto è una continua sfida contro se stesso, contro quello che era, contro quello che è, contro le ferite, il peso degli anni e quella forza dirompente, quasi anarchica, che lo aveva sempre contraddistinto e che inizia a venir meno. Un obbligo morale a doversi reinventare, a non essere più un action movie tutto effetti speciali ed esplosioni, ma un western; a non essere più Wolverine, ma Logan; a non essere più un supereroe, ma un modello, un esempio, un eroe.

È di questo che hanno bisogno le nuove generazioni di mutanti, oggi sempre più spesso trattate come cavie da laboratorio, oggetti di studio spogliati di ogni tipo di umanità da cui ricavare delle armi ogni volta più letali; e quello che funziona benissimo come un discorso sulla società americana (ma anche, più in generale, su quella occidentale) - dove le nuove generazioni non possono far altro che guardare ai miti del passato poiché non ne trovano un corrispettivo nel presente - diventa anche un'interessante riflessione sul cinema (di supereroi), oggi ostaggio di un continuo gioco di rimandi e citazioni, che ha bisogno in un certo senso di guardarsi allo specchio per capire quello che vorrebbe e dovrebbe essere. Non poteva che farlo Wolverine, tutto questo. Dopo 17 anni e decine di film, per la prima volta un cinecomic portato ad uno dei tre festival cinematografici più importanti del mondo; quasi fosse stato messo il punto ad una storia, per poter  andare a capo e iniziarne una nuova.

 

Logan.