Dice Badiou in Elogio dell’amore che il problema fondamentale di un amore è quello di far sì che possa durare nel tempo. Nel momento dell’incontro, quello trascinante e sconvolgente dell’innamoramento romantico, lo scorrere delle cose e l’esistenza regolata della situazione in cui viviamo viene gettata nel disordine ed esposta alla sua realtà contingente. D’altra parte è noto a tutti: quando ci si innamora, tutto cambia, non solo la relazione che ci lega all’altro, ma l’intero mondo nel quale ci troviamo. L’incontro amoroso è la creazione di un mondo che prima non esisteva.
Essere fedeli all’incontro amoroso non vuol dire allora banalmente sottostare alla Legge della fedeltà monogamica, quanto essere fedeli a quell’evento di sconvolgimento del mondo che per la prima volta è avvenuto tramite quell’incontro. Significa far durare l’esistenza di quel mondo.
Ma come si fa a essere fedeli a un amore che poi non è stato in grado di durare? Quando quel mondo, che a partire da quell’incontro aveva preso corpo, è scomparso ed è arrivata la reazione del mondo di prima, quella del Termidoro dopo una Rivoluzione. Il nuovo film di Hong Sang-soo, ce lo dice già dal titolo: On the Beach at Night Alone, sulla spiaggia, da sola, di notte. La solitudine quindi, ma anche quell’impressione di desertificazione che avviene quando il nuovo mondo è stato spazzato via. La fine di un amore non è la fine di un’esperienza. È la fine di un mondo.
Ed è in effetti una specie di mondo sentimentalmente post-apocalittico quello in cui si trova Younghee, giovane e bella attrice coreana che ha avuto una relazione con un regista sposato molto più anziano di lei. Questo amore ha sconvolto non solo loro, ma anche il mondo che li circonda dato ha impresso su di loro un marchio d’infamia dal quale non si potranno più riprendere. Lui, ci dicono, è sconvolto ed è molto tempo ormai che non fa più film. Ma è lei il nostro punto di vista e la vediamo nel primo capitolo del film (in tutto sono due) in compagnia di un’amica di vecchia data, Jeeyoung, in una città della Germania settentrionale. Parlano di quest’uomo che dovrebbe arrivare – addirittura il prossimo sabato – anche se l’amica sembra scettica sul fatto che lui possa arrivare davvero. Jeeyoung infatti – che ha diversi anni più della protagonista – è cinica e disincantata, vive da sola dopo dieci anni di matrimonio: in un dialogo è lei ad ammettere di «non avere più desiderio». Mentre Younghee ne ha troppo. Questo desiderio però non è generalmente per degli uomini, che anzi lei reputa “essere tutti stupidi” e dei quali non le interessa più “l’aspetto fisico”. L’amore è sempre singolare: non è sostituibile con nient’altro al mondo.
Ed è proprio questa insostituibilità che fa sì che il mondo abbia l’aspetto di una desertificazione, proprio come nella spiaggia di un mare d’inverno. La seconda parte del film che si svolge in Corea riproduce quasi esattamente la stessa struttura della prima in Germania: entrambe finiscono con Younghee che si accascia su una spiaggia; in entrambi lei va a trovare un’amica di vecchia data; in entrambi c’è una cena nella quale lei si dimostrerà insofferente. Ma ciò che colpisce è la ripetizione di veri e propri blocchi di dialoghi: il fatto che Jeeyoung dica che secondo una classifica di un giornale la città tedesca dove stanno è la più vivibile in assoluto del paese, viene ripetuto pari pari da Chunwoo, un vecchio amico della protagonista, riguardo a Gangneung in Corea; in entrambi le parti Younghee continua a ripetere di avere fame; in entrambi le parti Younghee dice di voler rimanere a vivere nella città dove in quel momento si trova (come se appartenesse così poco a questo mondo da non sapere nemmeno dove abitare).
Il mondo dopo la fine di un amore è insomma un mondo dove vige la ripetizione, e dove il proprio desiderio non può più trovare luogo. Anzi, è un mondo che spegne il desiderio, dove vige una luca opaca, fa freddo, gli amici sembrano invecchiati («Come ti trovo male Myungsoo, sei sicuro di stare bene?») e dove soprattutto – come viene spesso ripetuto – vi è una costante impressione di essere guardati da qualcuno. È Younghee a sbottare durante una cena nel secondo capitolo del film dove con l’aiuto di un po’ di sake iniziare ad accusare tutti i propri amici di non essere degni di un amore perché passano il tempo a pensare a cose di nessuna importanza. «Come è possibile cercare un amore laddove non è più possibile vederlo?». Come è possibile crederci se nel mondo dove viviamo – il mondo vecchio della restaurazione – non ve ne sono più i segni da nessuna parte.
Younghee allora se ne va da sola in spiaggia, come dice il titolo del film, e si adagia per terra. Sogna di incontrare la troupe di un film dove c’è proprio lui, il regista che l’ha lasciata. In una scena bellissima – che è un sogno solo e soltanto perché leggermente fuori registro, come lo sono i sogni veri – di fronte a tutta la troupe del film a tavola i due sembrano dirsi finalmente quello che pensano su quanto sia successo. Hong Sang-soo mostra perfettamente che cos’è l’asimmetria dei punti di vista di un amore: lui le dice di essersi innamorato perché lei è bella, mentre lei poco prima nel film aveva detto esattamente il contrario. Ma quando lui le legge un passo di un libro, dove si dice che innamorarsi è qualcosa di più alto della felicità e dell’infelicità (è quindi qualcosa che non si “misura”, tantomeno con il metro del vantaggio o del benessere personale) e le confessa il dolore e il rimpianto di quelle che gli è successo lui è concentrato sulle parole, su quello che dicono – dice ai suoi colleghi accanto «non è un passo bellissimo?» – mentre lei è quasi in trance e lo guarda senza proferire parola. Gli chiede soltanto «ma davvero mi vuoi regalare questo libro?»
Quello che conta insomma per Younghee è il gesto d’amore, il segno di qualcosa che si faccia supporto di un desiderio (è il desiderio è sempre, per definizione, un desiderio di “nulla in particolare”), mentre lui è concentrato sulle parole, è insomma concentrato – come accade spesso per i nevrotici ossessivi – sul sapere, non sul desiderio. Perché forse non c’è modo di far sì che il desiderio si integri perfettamente nel mondo dove siamo, nei suoi ritmi regolati, nelle sue liturgie e nei suoi saperi. Forse perché non è possibile desiderare senza voler in qualche modo sconvolgere il mondo in cui si è. È forse per quello – dice sempre Badiou – che l’amore sia così poco di moda ultimamente, esattamente come le rivoluzioni. Forse perché non c’è modo di avere un desiderio senza sentirsi minimamente fuori dal mondo in cui si è e senza volerne costruire uno nuovo daccapo.