Encounters

Coma di Bertrand Bonello

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Rappresentare e raccontare al cinema un presente legato alla pandemia è qualcosa di estremamente complesso. Probabilmente la banalità visiva del lockdown, che da un giorno all’altro ha azzerato ogni tipo di stimolo e variazione di scenario, ha reso questo momento storico paradossalmente irrappresentabile. Eppure è una situazione con cui il cinema sta facendo e dovrà fare i conti nel prossimo periodo. In questo senso Coma, il nuovo film di Bertrand Bonello, offre uno sguardo decisamente personale e intimo che rappresenta uno straordinario tentativo di catturare e al contempo distruggere e superare i limiti narrativi e visivi che il lockdown ha imposto.

Il film è (letteralmente) una lettera piena d’amore, fiducia e speranza, che il regista francese ha voluto scrivere a sua figlia, diventata maggiorenne poco prima dell’esplosione della crisi sanitaria globale e quindi reclusa in casa nel momento in cui avrebbe dovuto iniziare a vivere la propria vita per la prima volta. Bonello mette in scena questo momento di pausa disintegrando la monotonia delle quattro mura sfruttando ogni singolo pretesto per creare dal nulla immagini, narrazioni e distorsioni visive. E così immerge la protagonista del film e lo spettatore in una sorta di flusso in continua evoluzione, fatto di videochiamate, inserti animati in stop-motion, videochiamate, tutorial di influencer, materiali di repertorio e incubi dal sapore lynchano.

Le immagini in cui la figlia del regista si ritrova immersa sono per lei spesso illeggibili, difficilmente interpretabili e potenzialmente pericolose; sono delle ossessioni, dei sogni che si fanno incubi. Sono il riflesso del trauma personale di un’adolescente e di un intera popolazione. Eppure al contempo quelle immagini rappresentano l’unica possibile via di fuga da un presente opprimente e privo di vita; il pretesto per liberarsi dalla monotonia e trovare rifugio in narrazioni sempre nuove e stimolanti. In questo Coma palesa l’assoluta dipendenza che abbiamo nei confronti dell’immagine (cinematografica e non), senza la quale sembra praticamente impossibile sopravvivere oggi. Ma a questo si deve aggiungere l’automatismo quasi inconsapevole e incontrollato con cui ogni stimolo visivo diventa una rielaborazione personale della realtà: una dipendenza nella quale è facile rimanere intrappolati ma di cui è anche impossibile fare a meno.

Così anche una lettera d’amore per un’adolescente appena maggiorenne diventa un racconto universale che si adatta facilmente all’esperienza che ogni individuo ha vissuto in quel momento storico. In tutto questo aleggia chiaramente una continua sensazione di imminente fine del mondo, che però è contrastata dalla speranza di un futuro in cui le nuove generazioni sapranno padroneggiare le immagini, e quindi la vita, con più fortuna.