Séances spéciales

Estraña forma de vida di Pedro Almodóvar

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Dopo The Human Voice, il corto presentato a Venezia nel 2021 che affidava a Tilda Swinton e a Balenciaga il compito di portare sullo schermo una delle sue tante piccole ossessioni, il testo di Cocteau a più riprese presente tra le maglie del suo cinema (La legge del desiderio, Donne sull’orlo di una crisi di nervi), Pedro Almodóvar arriva a Cannes con un altro piccolo divertissement in lingua inglese.

Lo dice lui in apertura dell’incontro che segue la presentazione del film: il successo a una certa età significa poter fare un po’ quello che ti pare. Ed è quello che sta facendo. Proprio lui che ha sempre costruito le sue sceneggiature tra mille rivoli e andirivieni e accumuli di piccole storie che si insinuavano per dare spessore e apertura, affiorando, ritraendosi e complicando le cose come succede nella vita. Tanti possibili film dentro a ogni film. È come se ora si concedesse il lusso di tornare a prendere quelle piccole storie per dedicarsi interamente a loro, seguirle e vedere cosa potrebbe capitare. Divertendosi moltissimo tra abiti meravigliosi, scenografie maniacali e grandi attori che si prestano al gioco.

In Estraña forma de vida sono Ethan Hawke e Pedro Pascal a entrare nel gioco di Almodóvar che li prende, li fa vestire da Saint Laurent (anche produttore con la nuova company creata dallo stesso direttore creativo della maison Anthony Vaccarello) e li mette dentro a un western sentimentale quasi da camera, tragicamente pervaso di una tensione erotica vibrante, calda e sofferente.

Gira in Andalusia ma ci tiene a dire che non è uno spaghetti western, gira parafrasando un momento di Brokeback Mountain ma ci tiene a sottolineare che non è un neo-western. È un western à la Almodóvar, semplicemente. Un piccolo film che si diverte a giocare con il genere, che lo ripensa con amore ma anche con distacco, guardando alla codificazione dei personaggi fatta da Hollywood, rimandando a James Stewart, a Kirk Douglass a Burt Lancaster ma anche chiudendolo dentro uno spazio teatrale all’interno del quale lasciar esplodere in modo conclamato la tensione omoerotica del genere.

Così accade che lo sceriffo e il suo amore di sempre si trovino dopo venticinque anni a condividere un piatto alla tavola ben apparecchiata di una casa piena di piccoli quadri e immagini che decorano l’ambiente, a dominante bordeaux, rendendolo pienamente almodovariano.

Così succede che dopo una notte di passione, lasciata in ellissi, i due rifacciano il letto insieme cercando tra quelle lenzuola l’uno l’esigenza opposta dell’altro: il ricordo da una parte, l’oblio dall’altra. Con gesti che evocano una quotidianità mancata e con sentimenti contrari, i due pensano a quello che avrebbero potuto essere quei venticinque anni, ma allo stesso tempo raccontano altro, di bisogni, necessità, scelte forzate e, soprattutto, si confrontano con il loro desiderio. E qui si assapora il cinema di Almodóvar e quel suo modo unico di mettere l’umanità dentro a costrutti sempre più artefatti; un modo maturato negli anni in un rapporto sempre più stretto e personale con la classicità del cinema; un rapporto che risiede sempre di più nel piacere di sfilare allo sguardo, di concedere sempre meno spazio all’azione per lasciare piuttosto alla cura maniacale dei dettagli il compito di suggerire ed evocare.