La Habanera (1937) è l’ultimo film tedesco di Douglas Sirk prima del suo periodo americano. Ambientato a Porto Rico e girato a Tenerife è una produzione dell’UFA, che ha creato non poche difficoltà di realizzazione. A partire dal fatto che l’ex moglie di Sirk, fervente nazista, gli aveva fatto ritirare il passaporto per impedirgli di lasciare il Paese e ci volle non poco a farglielo riavere per permettergli di partire per le riprese. Il film racconta la storia di Astrée, una bella ragazza svedese in viaggio con la zia che, seguendo un impulso e sedotta dal corteggiamento del fascinoso Don Pedro, scende dal battello quando sta per ritornare a casa. Affascinata dalla natura selvaggia, dalle persone e dalla musica locale pensa di aver trovato un paradiso. La sua felicità è perfetta quando si sposa con Don Pedro, il ricco e potente proprietario dell’isola. Dieci anni dopo, Astrée si ritrova infelice, con un figlio, nostalgica del suo Paese d’origine e sempre più prigioniera di quel mondo che tanto l’aveva soggiogata. Quando un biologo svedese, con cui lei aveva avuto un flirt giovanile, va sull’isola per indagare su un misterioso virus che provoca una febbre mortale agli abitanti, la donna si sente turbata da lui. Il marito, che avverte il suo distacco, usa il figlio come arma di ricatto, minacciandola di sottrarglielo se lei decide di lasciare l’isola.
A parte alcuni elementi di sconcertante attualità - il virus mortale, gli abitanti del porto confinati e controllati da militari che dovrebbero essere immuni perché sono vaccinati, anche se il siero si rivela di dubbia efficacia – quest’opera contiene tutti gli elementi del melodramma cari a Sirk. Astrée, interpretata da una Zarah Leander diva del cinema tedesco consacrata da La Habanera a superstar internazionale, da giovane ragazza ribelle si ritrova una donna in gabbia, succube delle prepotenze di un marito abituato a comandare. Il film si apre con un movimento di camera sublime, una meravigliosa panoramica si sposta dalle onde pacate del mare alla terraferma, rivelando nel suo lento spostamento un brulicare di gente festosa e allegra sotto un sole accecante. Tra la folla, spunta una danzatrice zingaresca che ancheggia sinuosa al ritmo di un ballo lento, cantando “La Habanera”, una delle arie più famose della Carmen di Bizet. Sarà questa stessa canzone, che parla dell’amore come di un uccello ribelle impossibile da catturare, a concludere il film, anticipando la tragica e improvvisa morte di Don Pedro. Una morte evitabile, dettata da uno scherzo del destino, un artificio assai presente nel cinema di Sirk. Ma tutto il film è soprattutto la storia di una coppia che si contende il ragazzino. Chi la spunterà? Non si può non vedere celato in questo snodo cruciale il grande dramma del regista stesso, la cui prima moglie, nazista, gli ha impedito di avere rapporti con il suo unico figlio perché sposato con una donna ebrea. Nel film, Don Pedro muore e Astrée parte con suo figlio alla volta della Svezia. Ma Sirk, nelle sue interviste, ci ha sempre allertato sul “lieto fine” dei suoi film. Un’apparente risoluzione dei conflitti che il pubblico applaude come lieto fine, ma che spesso è ben lontano dalla felicità, piuttosto è la conclusione circolare di una coazione a ripetere da cui sarà sempre impossibile sfuggire.